Robbè, l’artigiano della musica: «Sono una rossa doppio malto quando si cercano emozioni forti»

E’ uscito oggi, 25 settembre, “Vecchie Cicatrici”, il debut album di Robbè. Roberto Doto, in arte Robbè, è un cantautore classe ’94 nato a Deliceto, piccolo paese del Subappennino Dauno, terra di confine tra la Puglia, l’Irpinia e la Basilicata. In occasione della pubblicazione del suo primo disco abbiamo deciso di conoscerlo meglio attraverso un’intervista.

Robbè Intervista

Robbè - Vecchie cicatrici - Album - Beta Produzioni 2020 (13)

Ciao Robbè, è un piacere intervistarti! Abbiamo ascoltato il tuo debut album, “Vecchie Cicatrici”. Un disco davvero ben fatto, non sembra proprio un primo album. Dicci la verità, da quanto fai musica?

Ciao, piacere mio! Beh, in realtà faccio musica e scrivo canzoni da un po’ di anni: ho iniziato a suonare la chitarra quando andavo alle medie (e la suono troppo male per suonarla da tutti questi anni!), mentre ho iniziato a scrivere canzoni quando ero al liceo. Era una cosa che non sapeva quasi nessuno però, spesso nemmeno gli altri membri delle mie band adolescenziali. Mi ricordo che mi vergognavo tantissimo solo all’idea di farli ascoltare a qualcuno: adesso la situazione si è capovolta, mi viene da ridere!

Come è nato “Vecchie Cicatrici”?

È stato un parto con una lunghissima gestazione. Alcune canzoni le ho scritte quando avevo 17-18 anni, nella mia cameretta a Deliceto, altri invece nel bel mezzo dei lavori per il disco: c’è un baratro spazio-temporale tra queste canzoni, quasi dieci anni, Bologna, Cork, poi di nuovo Bologna, senza mai dimenticare da dove vengo. In tutto questo scorrere di tempo e di luoghi io ci vedo un viaggio, un percorso, sia nel senso fisico che in quello emotivo, più intimo.
Ci è voluto tempo, però ho avuto la fortuna di trovare le persone giuste per dar vita a questo progetto: quel genio di Simone Lamusta alla fisarmonica e quella pazza scatenata di Elena Mirandola al violino, per finire con Fausto De Bellis, che mi ha fatto da produttore, musicista e saltuariamente anche da cuoco.

Come mai hai scelto “Vorrei vivere al mare” come primo singolo estratto?

È stata una scelta condivisa con l’etichetta: non avendo niente di già pubblicato, serviva qualcosa per smuovere le acque ed iniziare a farsi notare, ma il mio non è propriamente un disco “estivo”…pensa che non c’è neanche una parola in spagnolo! Abbiamo optato per “Vorrei vivere al mare” perché è un pezzo fresco, orecchiabile, che parla del legame col mare, indubbiamente collegato all’estate, e soprattutto perché mi piaceva la storia della canzone. Stava per essere scartata fin quasi alla chiusura del disco, l’arrangiamento non ci convinceva appieno, finché non è venuto fuori quel giro di chitarra.

Tra i brani che ci sono piaciuti di più c’è “Artigiano della musica”. Suona un po’ come una presentazione di te e della tua musica. Come mai non hai scelto questo come singolo?

È una canzone a cui sono molto legato, come hai detto tu è un po’ come una mia presentazione. In più, è una tarantella del Gargano nata in Irlanda: come si fa a non volerle bene?
Non l’ho scelta come singolo perché secondo me non era adatta ad esserlo, penso che sia una canzone per pochi, una di quelle nascoste nel disco, canzoni che vanno cercate, scoperte e non lanciate in pasto a tutti: dirò di più, ce ne sono anche altre due così. Del resto, Niccolò Fabi ci ha insegnato che “non si può cercare un negozio di antiquariato in via del Corso”.

Qual è stata l’esperienza più significativa della tua carriera per ora?

Da una parte il concerto di apertura ai Folkabbestia l’anno scorso a Bologna, sicuramente un bel traguardo. Dall’altra parte, invece, la prima volta che ho suonato in un pub in Irlanda: quasi nessuno capiva quello che stavo cantando, ma erano tutti coinvolti ed attenti come se capissero, un calore straordinario!

Quale delle tue canzone consiglieresti a chi ancora non ti conosce per farlo innamorare della tua musica?

Dipende da quello che uno cerca nelle canzoni. Ci sono canzoni più allegre e canzoni più tristi, testi più profondi e testi meno profondi, poi inevitabilmente lo stile è sempre il mio e penso che la firma sia chiara e palese in ogni pezzo. Se, invece, dovessi indicare le mie preferite, allora vi direi di cercare nella seconda metà del disco: cercate una combinazione per fare 19.

Ultima domanda di rito: se dovessi descriverti con un cocktail quale sceglieresti?

Ti direi un long island con tequila o un mexican mule: ma non sono un grande amante dei cocktail, al contrario di tanti. Mi sento un po’ così nel panorama musicale, dove il panorama indie, moda del momento, è un lungo catalogo di cocktail: io, invece, sono una birra, rossa doppio malto quando si cercano emozioni più forti o Peroni a un euro quando ci si vuole sentire a casa.

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