“E” è l’ultimo album di Adrian Belew, un artista da amare profondamente.
Un musicista “mostruoso”, un songwriter unico, un uomo eccezionale per modestia e personalità.
E per uno che è abituato ad avere a che fare con Robert Fripp, poco non è. Adrian Belew, insomma, è riuscito nell’intento di realizzare il sogno della sua vita, e bastava leggere il suo blog (http://elephant-blog.blogspot.com/) per capire il suo entusiasmo per questo evento.
Lo spettacolo (perché di questo si è trattato) si è svolto al Paradiso di Amsterdam, locale conosciuto in Italia perché teatro di concerti memorabili (tra tutti, da citare i numerosi eventi live dei Motorpsycho). Il club, nella sua sala principale, è riempito per metà dalla Metropole Orchestra, ma ha anche due gradi di platea, completamente pieni.
Si inizia alle 20.30 precise con il primo set: Adrian esegue tre brani da solo con la loop station, mai pubblicati e interamente strumentali (mezz’ora in tutto). Sull’attacco di “Drive” scattano le lacrime agli occhi. Il secondo (senza titolo) è qualcosa di incredibile: suona da solo ma è come se fossero tre chitarre, il tutto senza bisogno di loop, ma solo grazie agli effetti della Parker Signature. Il terzo è forse il più debole, ma comunque piacevole.
Quindici minuti di pausa ed entra l’orchestra. Sono circa 60 membri, e quello che avviene per i successivi 45 minuti è qualcosa difficile da dimenticare. “E” è un disco molto ostico, completamente strumentale e profondamente minimale, e per questo la curiosità di sentire che arrangiamenti si possano dare ad una simile opera era molta. Quello che esce è, appunto, un’opera (nel senso più ampio del termine) magniloquente, allo stesso tempo pomposa e schematica, potente e aggressiva: in una sola parola, enorme. Viene suonato tutto d’un fiato, senza interruzioni, come è giusto che sia, perché non ha senso isolare questo o quest’altro frammento; un corpo unico che non ha partizioni. Adrian Belew sorride per tutto il tempo, guarda il pubblico, suona da Dio, non cicca una nota neanche a volerlo… E lo fa eseguendo delle parti impossibili ai più. Ha la gioia stampata sul volto: è un uomo felice che a 64 anni ha coronato il sogno di una vita ed è pronto per una nuova partenza.
Finisce tutto, ci sono dieci minuti di applausi e siamo pronti per i bis. Adrian e il direttore d’orchestra rientrano e le sorprese sono due: scontata ma neanche troppo, dopo una presentazione che ringrazia anche il governo olandese («Siete fortunati ad avere un governo simile che dà una chance all’arte, gli USA non sono ancora pronti ad una cosa simile»), viene eseguita “Postcard from Holland”, una cartolina, appunto, di poco più di un minuto che con una dolcezza infinita dichiara tutto l’amore di quest’uomo per l’Olanda e i suoi abitanti (e i suoi cookies). Il finale, e non poteva essere altrimenti, è tutto per “Frame by Frame”, accolta da un’ovazione non appena parte il primo, storico riff.
C’è da svenire, troppe emozioni tutte insieme. Il senso di appagamento è forte. Tanto più che questa “rappresentazione” sarà in data unica, quindi o qui o ciccia (a meno di guardarsela in DVD, visto che è stata registrata). Uno dei migliori concerti non solo dell’anno. Uno dei migliori concerti mai visti.
Claudio Scortichini