Il 13 novembre scorso ai Magazzini Generali di Milano c’è stato il concerto dei Kaiser Chiefs, band di Leeds.
Ad aprire per loro c’erano i Transfer (San Diego) e i Tribes (Londra).
Per i Transfer, sfortunatamente, c’erano ancora poche persone, ma questo non è servito a scoraggiare la band californiana, che ha comunque dato il meglio di sé con brani come “Losing Composure”, “The Possum” e “White Horse”.
Dopodiché ci sono stati i Tribes, giovanissima band inglese. A un certo punto il cantante, Johnny, ha persino dedicato una canzone a sua madre: era il suo compleanno ed era venuta lì da Londra. Con loro il pubblico è stato più partecipe, soprattutto durante la bellissima “Sappho”.
Finito il set dei Tribes, è il turno della band per cui tutti sono lì: i Kaiser Chiefs.
Si abbassano le luci e dopo un’intro di musica elettronica tutti i membri della band salgono sul palco: la prima canzone è “Every Day I Love You Less And Less”. E basta che Ricky, il cantante, intoni il primo verso, che il pubblico va in delirio. Letteralmente. Quelli che prima a stento ondeggiavano la testa per le band di supporto, ora sono impazziti e si schiacciano in massa contro le transenne, o semplicemente uno contro l’altro.
Inutile dire che la situazione resta la stessa con “Never Miss A Beat”, ancora più energica della precedente, durante la quale Ricky addirittura sale sulla transenna che divide il palco dalla folla, con tutte le persone lì vicino che allungano le mani cercando di raggiungerlo, o anche solo stordirlo con i flash delle loro macchine fotografiche.
La canzone successiva è “Little Shocks”, primo singolo del loro ultimo album “The Future Is Medieval”. Tutti (o quasi) sanno le parole, proprio come per le canzoni più famose dei Kaiser. Loro stessi se ne rendono conto, e non nascondono dei sorrisi compiaciuti.
Il concerto continua con l’alternarsi di canzoni conosciutissime come “Everything Is Average Nowadays” e “Good Days Bad Days”, e nuove come “Man On Mars” e “Kinda Girl You Are”.
Un pezzo che davvero fa cantare ogni singola persona presente ai Magazzini è “Ruby”, uno dei maggiori successi della band.
Ricky non si risparmia, salta e canta tutto il tempo coinvolgendo di continuo la folla e, ogni tanto, prendendo il tamburello in mano, come ad esempio durante “Na Na Na Na Naa”.
E se c’è una cosa che le canzoni dei Kaiser Chiefs hanno in comune, è proprio la caratteristica di sembrare fatte apposta per saltarci, ballarci, o cantarci su. Di conseguenza, l’intero concerto è un susseguirsi di “oooooooohhhh”, “la la la la la”, battimani e, naturalmente, pogo assassino.
Con “Take My Temperature” Ricky supera se stesso: sale sulla balconata che sovrasta il parterre dei Magazzini Generali e canta da lì. A un certo punto sembra quasi che voglia tornare sul palco saltando direttamente da lassù, ma sembra rinunciarci dopo essersi scottato leggermente toccando un riflettore. Dopo il gran finale, l’intera band scende dal palco, ma solo chi non è mai stato a un concerto in vita sua può pensare che sia davvero finita: in realtà è il momento dell’encore.
Ed ecco così riapparire i Kaiser, che ci regalano altre due canzoni: “Love Is Not A Competition”, la più calma della serata (resa, tra l’altro, in modo superbo: cercatevela su YouTube) e l’immancabile, l’unica, la sola: “Oh My God”.
“Oh My God” è un’esplosione: i salti della gente si fanno più alti, così come le grida. Sanno tutti che sta per finire, ma nessuno vuole che succeda. Al contrario, si cerca di godersi al massimo quest’ultima canzone, assolutamente perfetta come finale di un concerto che definire energico è dire poco.
Non posso che concludere consigliando caldamente a chiunque non l’abbia ancora fatto di andare a sentire i Kaiser Chiefs dal vivo, perché meritano. Sono una delle poche grandi indie band rimaste nel Regno Unito (e, se è per questo, nel mondo) e se questo non vi basta, beh, pensate che potreste tornare a casa da un loro concerto e dire ai vostri amici e conoscenti che Ricky Wilson vi ha camminato sulla faccia.
Alessia Rosini