Per recensire quello che per me è stato un evento indimenticabile non posso esimermi dal partire da un ricordo indelebile della mia adolescenza.
Nel 1995 i cd non erano ancora molto in uso, e forse erano anzi nella loro forma embrionale per il grande mercato.
Una delle occupazioni più interessanti e impegnative per gli amanti di musica era il tape trade, ovvero lo scambio di cassette duplicate dei gruppi i più impensabili; gli indirizzi li prendevi sui giornali che trattavano il genere che più ti si addiceva e il rapporto tra il dare e l’avere doveva sempre essere di 1:1.
E’ in questo modo che ho conosciuto una miriade di band, assimilandole quando ero una spugna (musicalmente parlando); leggevo una recensione sui giornali, ordinavo una copia a quel ragazzo di chissà dove e mettevo la mia tacca sulla pistola (e a non dire che questo fu, tra gli anni 80 e metà dei 90, il modo in cui parecchi gruppi si fecero conoscere così tanto da raggiungere il successo mondiale, come nel caso dei Metallica).
Fu così che mi incuriosì la recensione sull’allora impareggiabile Metal Shock di “Carnival Bizarre”, terzo disco dei Cathedral, che dopo un esordio Doom che più Doom non si può e un seguito leggermente più accessibile, avevano virato verso un genere più settantiano e lisergico, affidando addirittura le parti di chitarra di una canzone a Sua Maestà Tony Iommi.
Descritto così sembrava proprio fare al caso mio, che già stravedevo per Sabbath e affini.
E mi ricordo perfettamente la prima volta che ascoltai ‘sto nastro: mi segnò come poche volte mi era successo, e anzi, posso urlare al mondo che mi cambiò (ancora, dopo i Black Sabbath e un paio d’altri) la vita e mi indirizzò sulla strada maestra che non ho più abbandonato.
Oggi che di dischi ne ho digeriti la mia parte e di concerti visti una buona quantità, posso solo ringraziare quella recensione che mi fece scoprire un gruppo ed un filone che mi hanno regalato le soddisfazioni tra le più grandi della mia vita e non passano 2 giorni consecutivi senza che mi ascolti almeno un disco di questo gruppo che in 21 anni ha scritto una pagina impensabile di musica.
Sono al HMV Forum di Londra, dopo un paio di giorni in solitaria a girare per negozietti di cd per scovare qualcosa di interessante; ritrovo amici italiani anche loro qua per il concerto (ovviamente) e parliamo del più e del meno, di quello o di quell’altro gruppo, della tristezza che ci assalirà a fine serata quando sapremo che allora è vero che una delle nostre band preferite non solo non suonerà più dal vivo, ma anzi nel 2012 si scioglierà, non prima di averci dato in pasto un ultimo cd e, comunque esso sia, lo farà al culmine della carriera, senza mai un passo (veramente) falso.
Cominciano i GENTLEMANS PISTOLS, un buon gruppo di hard stoner che in una mezz’oretta infiamma la platea già abbastanza nutrita, mentre molti altri (tra cui il sottoscritto) sta spintonando non poco per accaparrarsi il merchandise in limited edition, di cui non potrei mai fare a meno; me li sento, quindi, da lontano e senza troppa concentrazione, ma mi sembrano dotati di un buon tiro e magari gli butterò un orecchio più attento.
Un incidente al cantante ha costretto al forfait i COMUS, che tra l’altro erano aspettati da parecchi dei presenti, testimoni le non poche facce deluse; sostituiscono i CRESSIDRA, mai sentiti, ma spacciati come gruppo storico degli anni ’70 in poi di un certo prog inglese invero abbastanza leggerino.
La mezz’oretta dei nostri scorre via tra pezzi discreti e qualche sorriso, visto che i 5 musicisti accusano tutti gli anni (e non sono pochi) che portano sul groppone, sembrando più degli arzilli nonnetti che dei navigati rocker. Li apprezzo quel tanto che basta per finire la mia bevuta e scambiare quattro chiacchiere con i presenti.
Salgono sul palco gli svedesi GRAND MAGUS, parte l’intro e il pubblico comincia ad urlare.
Il gruppo non è tra quelli di punta della Rise Above, ma negli anni si è costruito un discreto seguito, merito anche di 4 dischi forse non eccelsi ma sicuramente piacevoli e massicci.
Personalmente ho mal digerito la loro virata verso un simil epic metal e li ho sempre preferiti nei primi anni, quando con Grand Magus e soprattutto Monument hanno dato in pasto ai doomster dei lavori non troppo originali, ma granitici.
Come è granitica la prestazione di stasera, che vede i nostri puntare parecchio sugli ultimi due lavori; si parte con Wolf’s Return ed è subito bolgia, ¾ di questa song è dannatamente trascinante e anche io non mi faccio pregare per spintonare un po’ e guadagnare terreno.
Splendida Kingslayer, ma ancora di più lo è Hammer of the North, vera e propria dichiarazione d’amore per la loro terra; il pubblico è coinvolto, canta e poga come si deve, trasportati da un JB in splendida forma. Tutto il set scorre velocemente con qualche piccola sbavatura senza importanza e decisamente mi attizzano il desiderio di vederli in un tour da headliner e non ancora una volta da supporter (è la terza volta per me e mai che abbiano suonato più di 40 minuti).
Se evitassero quei pezzi troppo epici e tamarri e quegli urlacci come le peggiori power metal bands, sarebbero tra i miei preferiti.
Setlist:
Intro
Wolf’s Return
Kingslayer
Like The Oar Strikes The Water
Hammer Of The North
I, The Jury
The Shadow Knows
Iron Will
Ci siamo, il rito sta per iniziare.
Tutti gli intervenuti (4.000?) si riversano al centro della sala, si fa buio, si alza il brusio e due grandi schermi posti ai lati dello stage proiettano immagini di B-movie horror degli anni ‘70/’80, contorno più che azzeccato per l’occasione.
Ho il cuore a mille e così sarà per tutti i 110 minuti del loro set (mai sentiti suonare così tanto!).
Si parte con un assolo di organo di un paio di minuti e i classici colpi di chitarra accordata in tonalità infernale che sancisce l’entrata di Lee Dorrian e soci.
Signori, i CATHEDRAL.
One, two, three, four….Vampire Sun ed è delirio assoluto.
L’opener di quel Carnival Bizarre di cui sopra fa scatenare un vero e proprio inferno dentro l’HMV Forum; la band è in palla e ha il fuoco a mille, Lee urla come non mai e ci convince subito di essere in ottima forma.
Segue a ruota Stained Glass Horizon e i ritmi si fanno più rallentati, ma è con Voodoo Fire (era dal 1998 che non la sentivo live!) che veramente succede il delirio: la gente vola da tutte le parti, il pogo non si trattiene e coinvolge pressoché ogni anima presente e in parecchi rotolano a terra salvo rialzarsi all’istante e ributtarsi nella mischia.
Pochi cazzi, questa è l’opener perfetta!
Il concerto prosegue tra grandi classici e pezzi meno noti e vengono toccati tutti i loro lavori con almeno un pezzo, salvo The VII Coming, forse il loro episodio meno riuscito (e comunque un disco per il quale parecchie band si taglierebbero un braccio).
A farmi felice è soprattutto Melancholy Emperor da quel grandissimo capolavoro che è Endtime, spesso denigrato per essere solo una copia dell’esordio (falso: ‘sto disco qui lo dovrebbero far studiare alle scuole elementari!), in realtà un epico ritorno al Doom il più funereo.
Esattamente un anno fa, il 3 dicembre 2010 ho assistito al concerto del ventennale sempre qui a Londra dove, nel corso del primo set (ne hanno proposti 2), hanno suonato per intero un disco MONUMENTALE come il loro esordio Forest Of Equilibrium (e di quella serata è stato fatto un doppio live album, tra l’altro il primo della loro carriera, e sono riuscito ad accaparrarmi anche la limited edition!): questa sera da quel capolavoro viene riproposta una versione pazzesca di Ebony Tears suonata, e non esagero, a non più di 60 di metronomo… La potenza e la maestosità fatta canzone, quasi 9 minuti di sofferenza infinita e logorante, ma dannatamente piacevole.
La prestazione di Gary Jennings alla chitarra è magistrale, non una sbavatura, non un’esitazione… E sì che deve sobbarcarsi tutto il lavoro da solo, ritmico e solista, e non è poco; alla batteria c’è una sicurezza come Brian Dixon e dico tutto, mentre al basso si sente la mancanza di Leo Smee (rimpiazzato dal tarchiato e modestino Scott Carlson) e nessuno ha notizie circa la sua defezione (e sinceramente durante il loro ultimo concerto italiano avevo avuto l’impressione che per lui sarebbe stato l’ultimo… Scazzato e poco coinvolto, non era il solito Leo).
Tutti i presenti sono eccitatissimi e devastati da una autorità che non risparmia nessuno: le canzoni vengono suonate senza un attimo di pausa e si arriva sin troppo presto al momento della fine, quando Ride si presenta in tutta la sua importanza.
E’ una canzone micidiale, potente ma melodica, settantiana fino al midollo su cui è impossibile non scapocciare e ballare per tutto il tempo… Sì, è praticamente uno dei grandi classici del genere!
I nostri escono, ma tutti sanno che NON PUO’ e NON DEVE finire qui.
Il bis comincia con Utopian Blaster, sempre da Carnival Bizarre, un mid tempo grandioso con un break centrale che non fa prigionieri.
Si capisce che stavolta siamo davvero alla fine e la tristezza comincia ad assalirmi.
Lee Dorrian non si prodiga in romantici saluti (non ce lo vedo proprio, anche se l’ho sempre reputato una persona molto sensibile), ma dice giusto 2 parole per esprimere ciò che prova (sono sicuro che mi mancherete molto)… E si accinge a presentarsi come Matthew Hopkins…Witchfinder!
Tutti lo aspettavano e puntualmente arriva ‘sto grande classico micidiale che fa piazza pulita delle poche forze restanti al pubblico… Si poga, si scalcia, si urla, ci si convince che è l’ultima volta che lo sentiremo e questo a discapito del fatto che ormai era un appuntamento fisso, almeno una volta ogni anno e mezzo (e dal 1996), assistere ad un concerto di questo grandioso gruppo, e con questo urlare… I’m Matthew Hopkins…WITCHFINDER! alla fine della serata.
E non può mancare, come sempre, il finale con 5 minuti buoni di feedback, dove Lee simula su se stesso l’impiccagione della strega col filo del microfono; stavolta però, cadendo a terra non si rialza, ma entrano 2 loschi figuri con mantelli rosso porpora a portarlo via di peso per non farlo più uscire sul palco; non lo vedremo più, non verrà a salutare il suo fedele pubblico che in tutto questo tempo l’ha sostenuto, e questo lo apprezzo tantissimo.
Finisce così, tra i saluti dei 3 musicisti rimasti, la storia di una delle mie band preferite, che ha scritto pagine memorabili di Doom così come noi patiti lo intendiamo e si è assestata (parere del tutto personale, ovviamente) solo un gradino più in basso degli inarrivabili Black Sabbath, riprendendo il loro cammino e riadattandolo ai tempi.
Partiti con un esordio stratosferico e passati indenni alla prova dei dischi successivi, hanno percorso ben 21 anni con 5 Ep, diversi singoli e 9 dischi al quali si affiancherà il decimo nel 2012 e mai che avessero proposto un prodotto non all’altezza o comunque non almeno una spanna al di sopra della produzione media della scena.
Se ne vanno così, all’apice della loro carriera, con ancora tanto da dire, ma forse con la consapevolezza che più in alto di qua non si può arrivare e che una volta in cima non si può che scendere.
E per questo, e per tutto quello che mi hanno dato dal 1995 ad oggi, gli riserverò sempre un enorme rispetto.
Setlist:
Intro
Vampire Sun
Stained Glass Horizon
Voodoo Fire
Midnight Mountain
North Berwick Witch Trials
Funeral of Dreams
Cosmic Funeral
Carnival Bizarre
Ebony Tears
Melancholy Emperor
Autumn Twilight
Corpsecycle
Ride
Utopian Blaster
Hopkins (Witchfinder General)
Alcuni video del live:
http://www.youtube.com/watch?v=hX4Msifa-Gc (intro – Vampire Sun – Stained Glass Horizon)
http://www.youtube.com/watch?v=sZr5jKixOv4 (Ebony Tears)
http://www.youtube.com/watch?v=QVC70AunZuM&feature=related (Cosmic Funeral)
http://www.youtube.com/watch?v=S3h-yghdOVc&feature=related (Hopkins)
Claudio Scortichini