Gli April Fools (Gabriele, Alessandro e Vincenzo) nascono nel 2004 dall’incontro fra tre giovani musicisti campani; il risultato sono una serie di composizioni originali che rielaborano la tradizionale “forma canzone”, strizzando l’occhio ad una molteplicità di generi che rispecchiano i diversi background musicali dai quali i tre provengono.
Domanda di rito: come mai questo nome?
Gabriele: “‘April Fools’ prende senz’altro in giro il cognome del sottoscritto (Aprile); Alessandro e Vincenzo sarebbero i miei fools, i miei folli, pazzi, ma anche un po’ sfigati. Però è anche il contenitore ideale in cui raccogliere l’ironia con cui ci avviciniamo alla composizione – giocando seriamente – e, senza esagerare, direi alla vita di musicisti in generale: è un Primo d’Aprile che dura tutto l’anno, anche se sappiamo essere molto molto seri.”
Ho letto diverse definizioni della vostra musica. Voi come vorreste definirla?
Alessandro: “Senza dubbio onesta. A prescindere da qualunque definizione tecnica o di genere le nostre canzoni mettono a nudo la nostra storia, i nostri guai, i successi e le delusioni, senza filtri. Che possa piacere o meno, in un tempo storico in cui la musica sembra a volte poco più di un lecca-lecca, abbiamo cercato di preservare quantomeno l’onestà e la dignità di un messaggio, in una veste, spero, altrettanto apprezzabile.”
3. Ho letto che alcuni di voi studiano al conservatorio o comunque hanno basi di natura classica. Come riuscite a fondere ciò con il vostro genere?
Vincenzo: “Eccomi! I miei studi classici non ‘cozzano’ affatto con il nostro genere, qualunque esso sia. Credo che la musica vada vissuta a 360 gradi, anzi l’arte in generale, ragion per cui ogni contaminazione è pari ad un arricchimento. Anzi, insieme, siamo più che contenti di essere esposti alla possibilità di ‘macchiarci’ di influenze reciproche, e la musica classica è un ampissimo bacino da cui attingere.”
Ho letto che alcuni di voi studiano al conservatorio o comunque hanno basi di natura classica. Come riuscite a fondere ciò con il vostro genere?
Vincenzo: “Eccomi! I miei studi classici non ‘cozzano’ affatto con il nostro genere, qualunque esso sia. Credo che la musica vada vissuta a 360 gradi, anzi l’arte in generale, ragion per cui ogni contaminazione è pari ad un arricchimento. Anzi, insieme, siamo più che contenti di essere esposti alla possibilità di ‘macchiarci’ di influenze reciproche, e la musica classica è un ampissimo bacino da cui attingere.”
“Semplicemente (taggato)”, vostro primo videoclip, ha ricevuto moltissime visualizzazioni sul web. A cosa pensate sia dovuto questo boom di visualizzazioni?
Gabriele: “Mi piace pensare che sia per la qualità e l’originalità intrinseche del video! E’ difficile stabilire le ragioni per cui un video sul tubo acquisisca magicamente una sua ‘viralità’. E’ anche vero che ci siamo impegnati moltissimo nel pubblicizzarlo e abbiamo avuto anche qualche segnalazione notevole come quella di Festival Blogosfere e Rockol.it, oltre ad un piccolo passaggio in Rai al TG1 Note di Leonardo Metalli. Tuttavia continuo a sperare che l’ottimo lavoro del regista Claudio D’Avascio sia più che bastato!”
“Nella mia città”, il vostro secondo video, invece, parla della città di Napoli. Pensate che abitare lì sia uno svantaggio per chi vuole inseguire un sogno musicale? Dove vorreste vivere?
Alessandro: “Abitare a Napoli è tutt’altro che uno svantaggio, soprattutto per chi come noi vive di musica. Napoli è la culla dell’arte, un crogiolo di idee e noi ci riteniamo fortunati, oltre a sentirci fieri, di far parte di questa realtà, che ancora ha da esprimere tutto il suo potenziale. Non vorremmo vivere da nessun’altra parte, anzi vorremmo che più persone si accorgessero di quanta vita la nostra città può accogliere.”
Com’è stato esibirsi a Sanremo? Quali sono state le vostre sensazioni?
Gabriele: “Personalmente non è la prima volta che mi capita di esibirmi a Sanremo, ovviamente parliamo della città non del Festival, che è sempre meno raggiungibile. Quest’anno abbiamo avuto l’occasione di presentare un nostro piccolo showcase sul palco di Casa Sanremo, in una struttura adiacente all’Ariston, il Palafiori. E le sensazioni sono state quelle di chi vive la soddisfazione di potersi esibire davanti ad un pubblico selezionato e competente che sa apprezzare la musica dal vivo, ma anche di chi sa che un’altra fetta di addetti ai lavori praticamente ti ignora, la stessa che potrebbe portarti sul grande Palco. E’ un’esperienza abbastanza surreale.”
Riallacciandomi alla domanda precedente mi viene spontaneo chiedervi cosa pensate del Sanremo di oggi e in generale dei programmi musicali in tv?
Gabriele: “I programmi musicali televisivi praticamente detengono il monopolio del talent-scouting, rappresentando praticamente un appiglio sicuro per gli investimenti della discografia. Il problema è che troppo spesso meccanismi televisivi ed esigenze puramente ‘estetiche’ superano, e a volte sostituiscono del tutto, quello che dovrebbe essere l’unico vero requisito di un programma di musica, ovvero la musica. E secondo me ciò che ne esce maggiormente ferita è la qualità, cosa che a mio parere, in altri paesi che propongono gli stessi ‘format’ non accade. Non critico i programmi musicali tout-court, ma il modo in cui in Italia la ‘spettacolarizzazione’ sostituisce lo Spettacolo, e le emozioni incellofanate sostituiscono quelle sincere, quelle che la musica dovrebbe veicolare. Ho la sensazione che anche il Festival di Sanremo, purtroppo, si stia malamente adeguando a questo sistema, assomigliando sempre più ad un reality dove di reale c’è ben poco, e ne è un esempio l’iniziativa SanremoSocial dello scorso anno. Resta la più grande vetrina musicale che il nostro Paese possa offrire, ma c’è da chiedersi se sia realmente in grado di mostrare al mondo ciò che l’Italia ha da offrire.”
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Elisa Bertolucci