“Non c’è due senza tre”. Così recita un famoso detto e mai come in questo caso è stato più adatto (sperando che il quattro venga da sé).
A cosa mi sto riferendo? Al terzo concerto dei Simple Plan in meno di tre anni.
Sei mesi dopo l’ultima esibizione in territorio italiano, sul palco bagnato dell’I-Day 2011, infatti, sono tornati nel nostro paese per due date (a Milano e il giorno successivo a Roma) all’interno del “Get Your Heart On” Tour.
Ad accompagnarli per questa prima parte del tour europeo c’è la band americana emo-pop “We the Kings”, salita sul palco intorno alle 20.30 e che però ho visto solo sul finale, dal momento che il mio scopo era quello di godermi il concerto in tranquillità (considerando quanto successo sei mesi prima all’Arena Parco Nord di Bologna, quando un occhio era costantemente rivolto verso il cielo nella speranza di scongiurare l’ennesimo temporale) e così è stato.
Il locale non era pieno, il palco alto il necessario da permettere di vedere anche a chi stava verso il fondo senza dover utilizzare schermi; un po’ di gente, tra cui la sottoscritta, ha preferito godersi lo spettacolo dai soppalchi sfruttando la posizione sopraelevata.
In ritardo di mezz’ora circa rispetto agli orari che circolavano su internet, la band canadese è salita sul palco intonando “Shut Up” e tutto il locale è esploso saltando e cantando insieme a loro e così ha fatto anche per le successive “Can’t Keep my Hands off You” e “Jump”.
Prima di riprendere con il resto del repertorio, alternando pezzi dell’ultimo album, uscito il 21 giugno 2011, ad altri dei vecchi dischi, ci hanno regalato un pezzo di “I Gotta Feeling” dei Black Eyed Peas – la prima di quattro cover; le altre sotto forma di medley arriveranno verso metà concerto.
Per tirare un po’ il fiato bisogna aspettare “Astronaut”, resa ancora più emozionante dalla richiesta di Pierre di togliere i cellulari e sventolarli per lanciare un segnale “to the lonley people that the world forgot”; da dove mi trovavo la vista era qualcosa di eccezionale.
“Summer Paradise”, l’ultimo singolo estratto dall’album, porta tutti i presenti in “modalità vacanze”.
Segue un medley con “Moves like Jagger”, “Dynamite”, “Sexy and I Know it”.
Prima dell’inizio di “Jet Lag”, il telone alle loro spalle cambia: quello nero con disegni gialli viene sostituito da uno con un cuore rosso – che rappresenta il mondo – attraversato da aerei (come nella copertina del singolo); così rimarrà fino alla fine del concerto.
Ci stiamo avviando alla fine quando un mio piccolo desiderio si realizza: sentire live “This Song Saved my Life”. Il titolo parla da solo e se può far venire la pelle d’oca ascoltandola su un I-pod, sentirla cantare e suonare a pochi metri da te l’effetto si triplica, complice forse anche la consapevolezza di sapere il rapporto forte che li lega a tutte le persone che in dieci anni gli hanno permesso di vendere milioni di copie in tutto il mondo.
La scaletta ha un po’ cospirato contro di me: neanche il tempo di riprendermi che le note di “Welcome to my Life” hanno iniziato a risuonare per tutto il locale. Da citare durante questo pezzo un ragazzo che ha cercato di salire sul palco e che è stato bloccato prontamente ma in malo modo dalla sicurezza; i ragazzi hanno interrotto la canzone e Jeff, sceso dal palco, è andato a recuperarlo permettendogli di stare un po’ on stage con loro.
L’ultima canzone è stata “Anything”, ma nessuno ha creduto che se ne fossero già andati.
Infatti dopo qualche minuto di buio sono risaliti per eseguire “Loser of the Year”, “I’m Just a Kid”, “Crazy” e “Perfect” – le ultime due in versione acustica.
Tra gli artisti internazionali sono quelli che ho visto più volte, ma sono così bravi che non mi stancano mai. Non amo chi in sede live stravolge completamente le canzoni (come fanno ad esempio Tiziano Ferro o Lady Gaga) e con loro questo pericolo non c’è perché sono tali e quali al disco; non tutti hanno questo talento, soprattutto se nello stesso tempo devi intrattenere qualche migliaia di persone – altra cosa in cui sono bravissimi, usando balletti, battute…
Unico neo, egoisticamente parlando, è stata una ragazza che durante “Perfect”, una di quelle canzoni che in acustico va ascoltata tutta d’un fiato, è salita sul palco abbracciando Pierre.
Valentina Pesenti