I Subby J. sono una band che si divide tra Treviso e l’Inghilterra e sono Casey (chitarra), Jimmy (basso) e Sam (batteria).
Domanda di rito: come nasce il vostro progetto e come mai la scelta del nome della band è ricaduta su “Subby J.”?
Jimmy: “Io e Sam suoniamo insieme da quando, poco più che tredicenni, abbiamo deciso di abbandonare il sogno di fumettisti. Dopo aver fatto qualche prova in cantine e garage di amici ci siamo accorti che facevamo alquanto schifo, così ci siamo trovati in due. Abbiamo cercato dei compagni con cui suonare e siamo diventati tre, poi, quattro, ora di nuovo tre. E facciamo ancora schifo. Il nome? E’ del tutto casuale ma lo trovo divertente, e noi suoniamo per divertire.”
Casey: “Io sono il membro che è entrato più tardi nella band. I ragazzi hanno cominciato nel 2008 e hanno cambiato un po’ di membri, oltre ad aver cambiato anche il nome. Io sono entrato poco più di un anno fa ed è da allora che abbiamo cominciato a sviluppare il nostro sound in una determinata direzione. Io posso dire che per me l’intenzione di creare un progetto del genere nasce dal fatto che il pop punk è stato il mio primo grande amore ed ho cominciato a suonare per avvicinarmi a quel genere che poi per troppi anni ho trascurato. Per quanto riguarda il nome, Jimmy aveva chiamato così una bozza di un brano da inviare a Sam, poi gli è piaciuto come suonava il nome e così è rimasto. O almeno così narra la leggenda!”
Il vostro sound rispecchia al massimo lo stile punk, sia quello old school sia quello degli ultimi anni. Come mai la scelta di cantare in italiano?
C: “La scelta di cantare in italiano la abbiamo presa perché io sono entrato nel gruppo ad aprile 2011 ma sapevo che a luglio dello stesso anno sarei partito per l’Inghilterra, quindi volevamo allargare la nostra fan base il più velocemente possibile per avere già ai primi concerti persone che cantassero le nostre canzoni, e l’italiano ci è sembrato la scelta giusta e ci ha dato da subito grandi soddisfazioni.”
J: “E poi la gente come farebbe a cantare le nostre canzoni nei corridoi della scuola?”
Tra i vostri pezzi, spicca “Justin Bieber”. Come vedete lo scenario musicale, italiano e internazionale, degli ultimi anni?
J: “A rovinare buona parte dello scenario musicale di questi ultimi anni è lo stesso pubblico che per primo lo critica. Mi spiego… Sempre più gente giudica un artista guardando la maglia del cantante e senza aver mai ascoltato una sola canzone, lamentandosi poi perché non ci sono più le grandi band degli anni ‘70. Questo accade soprattutto in Italia: all’estero l’ambiente musicale è più aperto e di conseguenza fare il musicista non è un sogno irrealizzabile. Ad ogni modo con questo non voglio dire che gli artisti di merda non esistano.”
C: “Lo scenario musicale sta cambiando per ovvi motivi, sia per necessità economiche sia per naturale evoluzione della società. Io penso che allo stato attuale delle cose avere una rock band sia un’ottima situazione, perché noto che sempre in più si domandano che fine hanno fatto le bands con musicisti che suonano “veri” strumenti. Non fraintendermi, non sono assolutamente contro la musica elettronica, la dubstep o i vari David Guetta che spopolano adesso (vivendo in Inghilterra vivo il movimento dubstep molto più da vicino che non l’italiano medio e io stesso sto producendo dei pezzi di quel genere). Semplicemente penso che le rock bands stiano per riportare in auge un genere che non è mai morto ma che è stato scavallato da un’industria che ha puntato sempre più alla tecnologizzazione della musica. Ma la musica è una cosa che nasce da dentro e come tale deve rimanere spontanea. Solo il rock può rendere questa necessità appieno.”
La band si divide tra la provincia trevigiana e Londra. Come vivete questa esperienza “a distanza”?
C: “Non è facile, però diciamo che ha sia lati positivi sia negativi. Ora per esempio stiamo scrivendo i pezzi per il nuovo album che cominceremo a registrare a luglio, quando tornerò in Italia. Da una parte manca il poter provare in sala le nuove idee e “jammarci” sopra, però d’altra parte ognuno scrive i propri spartiti da inviare poi agli altri membri che ascoltano, decidono se è il caso di lavorarci su e magari rispediscono il file con alcune modifiche e da lì parte la scrittura. Manca la componente live che è importantissima, ma penso che per una band delle nostre dimensioni, ovvero la cui fama è ancora relegata ad un ambito provinciale, fare pochi live ogni tanto possa essere anche una mossa vincente, perché i fan così sono più interessati ai concerti e otteniamo una risposta maggiore. Inoltre c’è da dire che non abbiamo particolare fretta di sfondare, visto che siamo tutti abbastanza giovani! In linea di massima però, penso che uno degli aspetti più positivi del vivere in due ambienti completamente diversi sia che assorbiamo dal mondo che ci circonda impulsi completamente differenti che poi fondiamo insieme per creare la nostra musica.”
J: “Certamente le prove nel week-end sono una cosa che mi manca davvero, ma è assolutamente fantastico vedere come possa nascere qualcosa di buono anche ora che siamo così lontani. Siamo come una coppia che vive una relazione a distanza, però siamo in tre e non facciamo sesso… Forse.”
I vostri testi parlano di feste e puro divertimento. Cosa ne pensate dei vari problemi conseguenti all’eccesso di “puro divertimento”?
J: “‘L’uomo è promosso a Dio.’ Così scriveva il poeta francese Baudelaire parlando degli effetti delle droghe che era solito mangiare con la marmellata per stimolare la sua creatività artistica. Io ritengo che chiunque, cosciente del mal di testa del giorno dopo, sia libero di vivere la propria vita senza dover troppe spiegazioni ad altri al di fuori di sé.”
C: “Trovo che non si possa eccedere nel puro divertimento, piuttosto bisognerebbe parlare delle vie che ognuno decide di seguire per raggiungere un determinato tipo di divertimento. Le sbronze di cui parliamo in qualche testo (ad esempio “Come Mai”) penso possano essere delle esperienze che fanno crescere, fanno capire che superare una linea è sbagliato per il proprio corpo e per la propria persona. Mi piacerebbe dirti che noi siamo il tipo di ragazzi che si fermano prima di superare quella linea, però nessuno di noi è un moralista, né tantomeno un ipocrita. Siamo giovani, abbiamo le responsabilità che abbiamo e soprattutto abbiamo tempo. Ognuno di noi conosce i propri limiti e i propri tabù da mantenere come tali, ma sono consapevole del fatto che alcune delle cose che facciamo sono considerate a loro volta tabù da altre persone. Nulla di ciò che facciamo, comunque, è un caso limite o permanentemente pericoloso. Non siamo dipendenti da nulla se non dalla musica.”
Per ora siete in fase di elaborazione di alcuni nuovi brani. Ci saranno delle novità a livello di sound e/o di testi?
C: “Questa ritengo sia la domanda più importante di tutta l’intervista. Penso che la situazione possa essere riassunta perfettamente da una frase di Jimmy: “Non so se sono più convinto del fatto che non ci ascolterà più nessuno oppure che stiamo per fare delle cose pazzesche. In realtà penso entrambe le cose.” Abbiamo in progetto quattordici pezzi per il nuovo album, di cui tre saranno riarrangiamenti di canzoni contenute nell’EP “1, 2, 5, 9” e che sono già tutte ascoltabili e scaricabili gratuitamente nel nostro soundcloud. I pezzi suonano epici, profondi e emotivamente carichissimi, ma allo stesso tempo lasciano spazio alla spensieratezza e al divertimento. Ci stiamo dirigendo verso un genere che definirei essenzialmente alternative-rock, ma con influenze di space-rock, ska e leggermente musica elettronica, senza però mai dimenticare le nostre origini pop punk. Anche i testi vedranno cambiamenti, specialmente quello della lingua, che diverrà esclusivamente inglese. Vogliamo alzare la portata e col fatto che io vivo in Inghilterra e da settembre frequenterò un’importante accademia musicale, penso che cantare in inglese sia l’unica via per poter sfruttare al meglio tutte le opportunità che mi si potranno presentare. I testi sono ancora in fase di scrittura, ma posso anticipare qualcosa. Nei vecchi live ci divertivamo a presentare canzoni come “Come Mai”, “Milf” e “Justin Bieber” etichettandole come canzoni d’amore il che, in modo strano e perverso, effettivamente era vero. Il nuovo album avrà testi “stratificati”. Saranno testi a cui molti si potranno legare superficialmente, ma che nascondono in realtà una verità più profonda, spesso più cupa e criptica.”
J: “Posso confermare tutto quello che ha detto il mio fedele compagno. A me piace scrivere la musica che esce dalla mia chitarra, a prescindere dal genere a cui appartiene.”
Ovviamente nuovi brani, nuovo tour. Aspirate a qualche festival europeo?
C: “Non abbiamo in mente niente del genere, per il semplice fatto che l’album sarà registrato tra luglio e agosto e ci vorranno un po’ di mesi prima che il mixaggio e la produzione, di cui mi occuperò io, siano finiti. E ovviamente senza i nuovi brani pronti non possiamo chiedere di suonare in nessun festival promettendo che le canzoni che suoneremo saranno del tutto diverse da quelle che facciamo sentire dalla demo. Però sto già cominciando a pensare al futuro, ho avuto la fortuna di trovare un posto di lavoro in cui due miei colleghi sono musicisti in band abbastanza grosse (uno dei due per esempio è il bassista degli Arcane Roots, uno dei nuovi gruppi punta di Kerrang!) e mi stanno dando ottimi consigli su come e dove organizzare tour, quindi spero che per l’estate 2013 si riesca a suonare anche fuori dall’Italia.”
J: “Mi sarebbe molto piaciuto, ma quest’estate viene Justin Bieber in Europa e io non ci sarò per nessuno.”
Una piccola curiosità: sul vostro canale Youtube è apparsa una cover di “Hakuna Matata”, celeberrima canzone di un noto cartone animato. Come è nata l’idea di proporre questa cover?
C: “‘Hakuna Matata’ è nata per il fatto che avevamo mezz’ora da suonare al nostro concerto al New Age ma le nostre cinque canzoni, anche nella loro versione riarrangiata per il live, non avrebbero coperto l’intero set. Allora invece di affrettarci a finire una delle nuove canzoni abbiamo deciso di riscrivere una canzone che tutti conoscevano, ma in stile Subby.”
Tiziana Cimmino
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