Il vaso di Pandora sono una band di Bologna formata da Antonella Farace (voce), Francesco Scaglioni (batteria), Simone Pensabeni (chitarra e cori)e Alexis Aguilar (basso). Il 22 settembre è uscito il loro primo album autoprodotto: “Psicosi di una Donna Curiosa“.
Ciao, innanzitutto grazie per averci contattato. Una domanda che per la nostra rivista è ormai di rito: come mai “Il Vaso di Pandora”?
Le argomentazioni trattate e la ricerca continua nel mondo dell’introspezione femminile porta inevitabilmente ad un’associazione con l’antico mito greco; i testi e la musica mettono a nudo aspetti spesso sottovalutati ma molto presenti nell’indole umana, un percorso attraverso una fitta rete di istinti, sensazioni e percezioni che, a loro modo, governano le dinamiche del mondo. Diciamo che per noi sviscerare questi nodi nevralgici si associa all’immagine dell’apertura del famoso vaso dal quale fuoriuscirono i “mali” che null’altro erano se non gli aspetti più oscuri e sconosciuti dell’animo umano.
Rimanendo sempre in tema di nomi, il 22 settembre esce il vostro album di debutto “Psicosi di una Donna Curiosa”. Come mai questo titolo? Cosa ci dobbiamo aspettare da questo album?
Come da domanda precedente anche il titolo del disco riprende in pieno la filosofia del progetto poiché in ogni brano sono descritti aspetti molto introspettivi, quasi “psicotici” dell’essere umano, riscoperti grazie alla “curiosità” propria dell’essere femminile. Un percorso analogo a quello di Pandora (titolo anche di una traccia dell’album); la curiosità come movente primo della scoperta della verità, e come sottile traccia comune a tutte le canzoni del disco.
Oltre a dei nomi particolari avete scelto anche una copertina molto particolare. Cosa vogliono rappresentare le bende sugli occhi e la pistola d’acqua?
L’immagine è eloquente e vuole rappresentare il paradosso dell’essere umano cieco nei confronti dei propri sentimenti, fino all’estremo di essere da essi condannato a morte; il fatto poi che la pistola sia finta aggiunge lo scherno alla tragicità, la beffa al danno. Con questa copertina si vuole rappresentare l’agilità della consapevolezza nei confronti dell’immobilità dettata dall’indifferenza.
Il primo singolo estratto dall’album è “Fuori”. Come mai avete scelto questa canzone come primo singolo?
E’ il brano che riassume meglio la nostra idea di musica, condensando un bel messaggio di ribellione con un sound rock deciso tutto nostro.
Parlateci un po’ del video di “Fuori” che ha come protagonisti degli zombie.
Inizialmente volevamo qualcosa di più semplice, meno articolato, poi abbiamo fatto sentire il singolo ad Alex Scorza (regista della Ghost Basterds Video Protonic) chiedendogli cosa “vedeva”; dopo un paio di giorni ci siamo incontrati e ci ha risposto: “Zombie!” Aveva già tutto in testa. Quando ce lo ha proposto inizialmente eravamo scettici ma poi al pensiero di quanto poteva essere cupo e banale il solito video della band che suona, magari su un ring o su un palco con il suo pubblico intorno, allora ci abbiamo ripensato e abbiamo sposato l’idea di Alex. Non è stato di semplice realizzazione, diciamo che è stato un parto complesso, ma ce l’abbiamo fatta e adesso siamo contenti.
“Psicosi di una Donna Curiosa” è completamente autoprodotto. Come mai questa scelta? Avreste voluto una casa discografica?
Oggi pochissime persone hanno voglia di investire nella musica, come se ci fosse l’obiettivo collettivo di minimizzare l’importanza che ha nella società, il suo valore di veicolo ed il suo valore terapeutico. Abbiamo avuto modo di lavorare e collaborare con varie figure dell’ambiente ma la poca serietà e professionalità che contraddistingue la maggioranza di queste ci ha fatto desistere dal prenderci impegni con loro. Abbiamo incontrato sulla nostra strada solo poche persone con cui valeva veramente la pena lavorare, e con loro tutt’oggi collaboriamo. Se vorremmo una casa discografica? Certo! Ma si deve dimostrare un rapporto serio e proficuo, senza stravolgimenti del carattere del gruppo o patetiche proposte di stravaganze commerciali; quando arriverà un’etichetta pronta a curarsi di noi accettando quello che siamo ed esaltando il nostro lavoro saremo prontissimi ad accoglierla a braccia aperte. Fino a quel momento la strada dell’autoproduzione è quella che ci dà la sicurezza maggiore di riuscire a lavorare a modo nostro, anche se con estremi sacrifici nostri e di tutti gli amici e collaboratori che ci stanno aiutando.
Avete suonato molto in giro. Qual è un festival italiano o straniero a cui vorreste partecipare?
Beh, ci sono alcuni esempi quasi banali di festival esistiti ed esistenti che ci piacciono veramente tanto. Nell’ambito nazionale, il festival di Radio Sherwood, il vecchio “Tora Tora”, l’Heineken Jammin’ Festival; mentre a livello internazionale, i sogni sarebbero il Lollapalooza e lo Szieget.
Ultima domanda: qual è la canzone a cui siete più legati dell’album? Quella che ha avuto un “parto” più travagliato?
Siamo quattro anime distinte ed ognuno ama un brano specifico dell’album, ma direi che la canzone su cui abbiamo condiviso più emozioni, arrangiamenti e sudore è stata “Lu”.
Grazie mille per la disponibilità!
Camilla Ortolani
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