La città dell’amore è un disco composto da otto tracce che raccontano altrettanti casi di cronaca nera avvenuti negli ultimi anni nella provincia veronese. Ho fatto quattro chiacchiere con Alessandro Longo che ha ideato e curato le musiche di questo disco. Ecco cosa ne è uscito.
Ciao, grazie per aver scelto Brainstorming per parlare de “La città dell’amore”. Come è nato questo progetto?
Il progetto “La città dell’amore” è nato dalla volontà di mettere piede nel “sancta sanctorum” dei mezzi di comunicazione: la cronaca nera. Ho lanciato un appello scritto su Facebook al quale in molti hanno risposto positivamente, rendendosi disponibili per dare il loro contributo. All’inizio il tono dell’operazione era profondamente iconoclasta (il primo artwork mostrava una bomba atomica deflagrata all’interno dell’Arena di Verona, centro nevralgico di festival lirici e Festivalbar). Nei mesi successivi ognuno ha dovuto mettere del suo per fronteggiare i fatti agghiaccianti ai quali sarebbe andato a riferirsi.
Otto tracce per otto storie di cronaca nera. Con quale criterio sono state scelte?
Non è stato adottato un criterio nella scelta delle vicende, ma di ciascuna vicenda si è andati a ricercare tutti gli articoli disponibili (nell’archivio digitale de L’Arena, il quotidiano di Verona. Sì, si chiama come il monumento). Talvolta è stato il titolo dell’articolo ad attirare l’attenzione, anche se i titoli non sono stati letti. Le generalità delle vittime sono state criptate (sia in audio che in video): se qualcuno volesse scoprire nomi e cognomi delle vittime, può abbonarsi al servizio a pagamento offerto dal quotidiano stesso (il costo è di circa 17€ al mese). È anche possibile scoprirle ascoltando il disco al contrario nella classica tradizione del “backward”.
A noi di Brainstorming piace sapere il significato dei vari nomi quindi la domanda è di rito: per quale motivo hai scelto il titolo “La città dell’amore”?
“La città dell’amore” è un titolo che Verona si è data (così come Parigi e altre città turistiche nel mondo). La giacchetta che si va a tirare è quella di “Romeo e Giulietta”, dramma shakespeariano ambientato nella nostra città. Ogni anno migliaia di innamorati arrivano nella città scaligera per festeggiare la ricorrenza di San Valentino. Tra gli optional, è possibile celebrare le proprie nozze presso la Casa di Giulietta, proprio sul balcone del celebre corteggiamento. Due dettagli: oscure fonti storiche raccontano che Romeo scegliesse la (minorenne) Giulietta come ripiego, dopo il due di picche di una tale Rosalina; secondo dettaglio: il balcone, sul quale è possibile sposarsi (a pagamento, con sovrapprezzo per i non veronesi), è stato ricavato da un antico sarcofago. In ogni caso, abbiamo scelto di usare il titolo “La città dell’amore” per connettere due realtà profondamente diverse, e apparentemente antitetiche (lo svago e il disagio sociale). Inoltre, così facendo, stiamo sorpassando quella dicitura nei ranking dei motori di ricerca.
Gli interpreti hanno fatto un lavoro eccezionale in tutte le tracce. Qual è stata la loro prima reazione appena contattati ?
Gli interpreti, sia quelli volontari che quelli “fatti volontari” su invito, hanno reagito in tanti modi diversi. Approfitto dell’occasione per raccontare alcuni retroscena, in ordine di apparizione.
Elena Sauro ha aderito con entusiasmo, cogliendo il lato più grottesco (sia io che lei siamo fan dei Monthy Phyton); a prova della sua spensierata convivenza col macabro, è venuta alla sessione di registrazione con uno splendido abito da sera, ha letto “La disperazione delle ultime ore” ed è subito uscita per tuffarsi nel divertimento cittadino.
Gianluca Giusti, mente pensante de La famosa etichetta Trovarobato e tastierista dei componibili Mariposa, ha apprezzato il concept al punto di ventilare l’idea di farne anche dei veri e propri plastici per sovrascrivere la consolidata estetica televisiva: romanzo giallo, consessi di criminologi esperti ma impotenti e, nelle parole di Giusti, “pietismo d’accatto”. Ha quindi impersonato il parroco Don Flavio Bertoldi nel brano “Ora sei un angelo e ci starai vicino”, riproducendone un’emblematica omelia funebre: il ragazzino al quale si sta dando il commiato è morto a causa dell’investimento di un trenino panoramico. L’officiante coglie l’occasione per slanciarsi in una similitudine: il percorso della vita è un binario, dal quale non bisogna mai uscire, e va constatato che il giovane è ormai arrivato alla stazione d’arrivo.
Michele Altobelli, organizzatore e speaker di Radio Popolare Verona, nonostante l’estrazione “mediatica” ha voluto confrontarsi sull’utilità dell’operazione, sulle possibili conseguenze, e sugli obiettivi. È stato uno scambio molto utile, e forse la prima occasione in cui ho suggerito l’idea: questi “pacchetti dichiarativi” stavano stretti al nostro progetto. Gli unici intenti possibili erano i nostri, personali. Nel suo caso “Prima strangolate e dopo sgozzate”, l’articolo letto, trasmetteva una perfetta etica professionale da parte del giornalista: nessun giudizio azzardato, nessuna speculazione, l’utilizzo di un registro neutrale. Proprio per questo è stato letto in modo talmente distaccato (da bollettino metereologico avvinazzato) da far percepire l’alienazione creata dalla cronaca in sé, a discapito di qualsiasi codice deontologico. La forma segue, e non precede, la sostanza.
Jonathan Zenti, audio documentarista, sceneggiatore radiofonico e operatore nel campo della mediazione, ha scelto di comporre più articoli, riguardanti uno stesso caso, sotto al titolo di “Due persone per bene e i bambini erano felici”. Si apre con un articolo sul contesto televisivo e gli epifenomi riguardanti la tragedia. Segue (tramite un lungo editoriale) la voce del Vescovo di Verona (nel 2011), Monsignor Giuseppe Zenti. Successivamente vengono descritte le testimonianze di vicini di casa increduli, compaesani, conoscenti delle vittime. Io lo vedo come una sorta di climax discendente dall’autorità all’autorevolezza. Lo spaesamento dei vicini che agognano una normalità leggibile e rappresentabile nelle cortesie di vicinato, nei bambini sorridenti, risalgono alle indicazioni a tutto campo del Monsignore (tra le varie anche “bisogna piangere” e “non bisogna chiacchierare”, quasi una lista di prescrizioni fisiologiche per chi ne necessitasse). Al centro, la liturgia della cronaca, a punto d’incontro ideale tra le due pulsioni categorizzatrici: top-down (la fede) e bottom-up (il senso comune).
Luca Zevio, cantante della band prog-folk Farabrutto, è stato attirato da un caso di cronaca (non nera) riguardante la mancata esibizione di un gruppo metal a Verona. La band satanista, gli Impaled Nazarene, è stata invitata dal gestore a non esibirsi anche grazie alle pressioni dei Papaboys. Tra i brani della formazione ricordiamo Armageddon Death Squad: nel video, un corpo di ballo di cheerleader armate di kalashnikov alla fine giustizierà i musicisti (ma i loro ammiccamenti escludono che siano Papagirls). Nell’articolo la giornalista esordisce scrivendo che “il Bene ha prevalso sul Male”. Luca è un metallaro, e ha quindi letto (magistralmente) questo articolo imperniato su musiche che riprendono linee melodiche della musica sacra su morbidi ostinati di doppiacassa.
Franco Manzini, leader dei Regina Mab ed interprete del reading sulla Resistenza “Col sole in fronte”, ha sposato l’idea non appena ha messo gli occhi sull’articolo “Strangola la moglie e soffoca il figlio”, al punto di farsi promotore del progetto in prima persona. “La città dell’amore” è infatti uscita per l’etichetta “Manzanilla Musicadischi” fondata da Manzini stesso e coadiuvata da Michele Perazzoli. Questo connubio ha portato anche alla realizzazione di un gadget, una chiave usb originale, a forma di cuore.
Gianmarco Mercati, frontman del gruppo Ultimo Attuale Corpo Sonoro, è stato, in senso lato, uno dei più vecchi ispiratori del progetto: da anni commentava articoli di cronaca sul forum ospitato dal sito Livepoint.it. È stato al tempo stesso uno dei primi collaboratori che io abbia immaginato, ma anche uno di quelli che ha aderito più tardi. L’articolo da lui letto, “La verità dell’assassino”, riguarda i suoi luoghi di appartenenza, la frazione di Lugagnano. Avendo una tale familiarità coi fatti, ha potuto proiettare la sua percezione sulle parole del pezzo, e il risultato è estraniante. Gianmarco ha anche dato una mano in veste di editor della presentazione del progetto (è quel che si suol dire un “grammar-nazi”).
Cristina Guardini, cantante dei Me and the Devils, si è occupata anche lei di un caso avvenuto nei suoi luoghi d’origine. Ha accettato la proposta di collaborazione dopo una serie di riflessioni che l’hanno portata a scegliere un articolo in cui emerge una descrizione particolareggiata dell’atmosfera della comunità in cui è avvenuto il fatto delittuoso. Nel brano “Fiori bianchi per …, una bimba solare”, le testimonianze rispecchiano l’incredulità e la disperata ricerca delle cause. Vengono inoltre considerate le ripercussioni sui compagni della vittima, bambini di una scuola elementare, e le possibili vie per attutire il colpo. Questo è il brano che conclude il disco, e tra tutti è forse quello che più ha una valenza di riconciliazione.
Altro aspetto fondamentale di questo disco sono le musiche. E ‘ stato difficile creare delle basi che non mettessero in secondo piano le storie?
Aver potuto comporre per delle voci così eterogenee è stato un modo per sperimentare nuovi approcci compositivi. Da un lato ho stabilito di non utilizzare tastiere che facessero da riempitivo, ma solo overdub di voce, feedback di strumenti elettrici e (nel brano “Strangola la moglie e soffoca il figlio”) una chitarra Fernandes dotata di Sustainer pickup (prestata dall’amico Dave Corlevich, chitarrista del gruppo rock Anteo). Dall’altro volevo che le musiche fossero intellegibili, melodiche, apocalittiche. Volevo che fossero un vero commento sonoro, tant’è che ogni brano ha una coda musicale strumentale. Ho usato l’iterazione come uno degli stratagemmi per collocare la musica sullo sfondo (ripetendosi, coglie via via meno attenzione). In missaggio ho fatto in modo che il sonoro non occupasse le frequenze critiche per la comprensione del parlato, cioè quelle intorno ai 1500 Hz.
Com’è stato il riscontro con il pubblico?
“La città dell’amore” è stata finora presentata soltanto una volta dal vivo, in forma di proiezione video, ma può e vuole essere riproposta. Le reazioni sono state molto positive. Talvolta sono state di spaesamento. Questo progetto è anche un oggetto non identificato, il che non lo rende di facile fruizione: non c’è una morale ben chiara, i contributi sono diversi, al limite della coralità, e all’ascoltatore non resta che interpretare gli stimoli in prima persona. Questo è il motivo per cui spesso è difficile dirne qualcosa: è stata mantenuta l’aderenza ad un concept che trae dal contesto e lo proietta sullo spettatore senza indicargli nulla, pur utilizzando l’emotività come canale di comunicazione. Ciò che di esso può trasmettersi è muto, anche se composto da più di un’ora di parole. Questo è anche il senso dell’artwork di copertina (fotografato da Michele Bergamini). Nel cuore composto di persone la parte e il tutto sono invertiti. Si sottende che le emozioni suggerite dai mezzi di comunicazione mirino in modo programmatico alla riscrittura dei presupposti dello spettatore, per polarizzarlo. Lo scandalo/consenso del ricevente è auspicato, e si esplica nella camera iperbarica della quota di telepresenza garantita. La destituzione dell’io che accade in quel lasso di tempo magnetizza (per vanificare) pathos, aspettative, visceralità che tracimerebbero nella realtà, trasformata in un nuovo altrove privo della rassicurante ossatura di una regia prevedibile. Questo è permesso dalla malintesa straordinarietà del patologico: ciascuno ha già una propria privacy da mettere a profitto, ma sceglie di assistere passivamente alla mercificazione di quella altrui. Sarebbero invece occasioni da cogliere, finché menzionare questi concetti avrà ancora senso.
Pensate ci sarà un seguito, magari questa volta con fatti di cronaca nera nazionale? O cambiereste completamente genere?
Se si presenterà l’occasione di creare un seguito, serviranno contribuzioni molto ben focalizzate: se qualcuno volesse avanzare delle proposte, esiti. Ma poi mi contatti. La scalabilità del progetto dovrebbe avvenire verso l’interno (i contributori), piuttosto che verso la trattazione di fatti maggiormente popolari: esiste già chi si occupa della notorietà ad alto livello, con i risultati che vediamo. Esiste la possibilità di utilizzare la musica come mappatura, come ipotesi, come esplorazione, come possibilità di alienazione della quale avere padronanza. Sono cose che non hanno bisogno delle istituzioni, per accadere. La vostra disponibilità ne è già un gran bel segno. Grazie.
Valentina Pesenti
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