Che succede quando elettricità e talento si incontrano (o scontrano..?) Ce lo siamo fatto dire dai Winona, trio alt rock emiliano al debutto con “Fulmine” (Seahorse Recordings), disco con cui, c’è da scommetterci, sono pronti a mandare in blackout la scena indipendente italiana.
Ciao ragazzi! Allora, avete alle spalle 5 anni di vita. Ci raccontate come vi siete conosciuti, le tappe fondamentali che hanno portato la band dove è oggi, cioè alla pubblicazione del suo full-lenght d’esordio “Fulmine”?
Ciao! Ci siamo formati per divertimento, per sperimentazione personale; era, in una maniera o in un’altra, una “prima volta” per ognuno di noi: Mors (cantante) si trovava ad essere frontman, Marcus ad imbracciare un basso e Frank passava dalla chitarra alla batteria. Siamo cresciuti insieme a livello musicale e man mano che imparavamo a suonare, miglioravamo anche nell’esprimerci artisticamente. La band è diventata per noi sempre più importante parallelamente alla risposta sempre crescente del pubblico, che sta dimostrando sempre più di capirci. Tutto ciò ci ha portato a Fulmine, la nostra creatura, il nostro messaggio.
Perchè il nome “Winona”?
In origine avevamo deciso di chiamarci “Wine in the afternoon”, come una famosa canzone dei Franz Ferdinand. “Wine” è diventato “Wino”, come il tatuaggio di Johnny Depp “ Wino Forever”, dovuto alla rottura della sua relazione con Winona Ryder. Da li il passo è stato semplice : Wine-Wino e infine Winona, togliendo “in the afternoon” troppo inglese per una band decisa a cantare in italiano ed essere il più diretta possibile.
Avete scelto come titolo del disco “Fulmine” che, oltre ad essere uno dei brani che lo compongono, è una parola diretta come il concetto che esprime e come la musica che suonate. C’è sicuramente urgenza espressiva ma per dire cosa?
L’unica risposta che può abbracciare tutti i nostri testi credo potrebbe essere raccontare noi e il nostro tempo. Quella stessa urgenza espressiva di cui parli, già semplicemente considerata in sé, è sufficiente per capire il retropensiero che sta nelle nostre canzoni: la paura di dissolversi in una società massificante, il desiderio di esprimersi, avere una voce in un coro globale in cui tutti dicono la loro senza ascoltare gli altri. Questo sta dietro i nostri pezzi, è il desiderio di lasciare un segno indelebile, seppure per un istante, una traccia del nostro passaggio, è un elemento molto indicativo per capire la nostra visione del mondo. Desiderio di esserci e coscienza che saremo sovrastati da una folla di altre individualità. Raccontare la nostra vita piccola tra una marea di altri nomi ed eventi, senza perdere di vitalità ed umanità: Il fulmine è anche questo, è l’elemento che da energia ai nostri strumenti elettrici e ci trasforma in qualcosa di più di tre semplici individui che percuotono o strimpellano pezzetti di legno.
A proposito del singolo Lazzaro, invece? Ci parlate di questo brano? A parte le mirabolanti imprese di Gesù?
Quella è una canzone che ho scritto in una situazione molto personale e con la quale non voglio annoiarti. Ma rileggendo le parole dopo mesi e mesi, anzi direi anni (Lazzaro è il primo brano che abbiamo scritto per Fulmine, ho portato agli altri testo e melodia di ritorno dal mio annetto all’estero nel luglio 2012), mi sono ritrovato di fronte ad una canzone forte, un inno alla vita, alla ricomposizione che segue la naturale decomposizione di ogni cosa, dal regno biologico al mondo sociale. Vita che può essere dolorosa, ma non meno degna di essere vissuta, anzi; questa canzone racchiude in sé la forza di rimettere insieme i pezzi di tutte le cose che si sono rotte, anche a costo di compiere un’operazione sofferta.
Per quanto riguarda il relativo videoclip? Era la prima volta che vi trovavate di fronte ad una telecamera? Che effetto vi ha fatto girarlo?
Sì, assolutamente la prima volta e ti posso dire che la cosa in sé non è che sia proprio entusiasmante. In studio di registrazione siamo abituati a ripetere lo stesso riff per decine e decine di volte finché non viene come dovrebbe, ma davanti alla telecamera non è per niente la stessa cosa: devi fare le cose in modo che sembrino altre, e ripeterle fino a che non si raggiunge l’effetto sperato. Per quelle riprese di pochi secondi in cui frugo per terra con le mani, mi sono fatto un paio di ore nel fango, di mattina, i primi di gennaio. Quando nei close-up sulle mani si vede che tremo, non è per via del metodo Stanislawski. E poi non sono il re dei movimenti sciolti o delle espressioni facciali sempre sotto controllo. Frank, invece, lui sì che ha un volto che buca lo schermo. Quando c’era da stare immobili e impassibili, era bravissimo. Marcus ed io, uhm, forse s’è visto di meglio. Comunque, a parte gli scherzi, la vera fortuna è stato girare con qualcuno che era sia estremamente professionale, sia estremamente sciolto; Lillo Venezia è un nostro amico da alcuni anni, ha reso tutta l’esperienza molto distesa e divertente. Anche la fase di ideazione è stata molto piacevole: avevamo tutti le idee abbastanza chiare, ed eravamo concordi sui punti cruciali. C’è stata una bella intesa fin dall’inizio e i risultati credo possano essere ammirati da tutti.
Rimaniamo sul brano “Lazzaro”, che nel chorus recita: “Mi chiamavano uomo morto, sono stato al letto tutto il giorno.” Che tipo di ritratto è?
C’è un “ma” tra quei due versi che cambia tutto; ammetto che spesso dal vivo me lo mangio, ma fa veramente la differenza. Uno sembra morto ma magari vuole solo starsene a letto. Magari non è un buon momento per giocare un ruolo attivo nella vita e il sonno sembra l’unica alternativa possibile: il sonno è un’imago mortis molto frequente in letteratura, anticipa la morte, ce ne dà un’immagine che non è detto corrisponda alla morte in sé. Secondo me sonno e morte sono molto diversi, invece: nel sonno si sogna, e a volte sognare un po’, in certe situazioni, può proprio salvarti. Forse proprio perché ogni sogno per essere tale richiede un risveglio, una presa di coscienza, l’affrontare il reale dopo essersi fatti le ossa nel sogno.
A primo sguardo non mi sembrate dei leghisti…
Nah. Ma proprio zero, guarda. Le band di destra si chiamano orchestre sinfoniche. Alcune però, non tutte.
Dal punto di vista dei concerti siete stati piuttosto attivi, soprattutto negli ultimi due anni. In qualità di gruppo emergente, quali sono gli ostacoli più grandi nel farvi conoscere?
Direi vincere le resistenze dei locali. La gente è più attiva di quello che sembra, ha solamente bisogno di stimoli; in genere basta poco per riscuotere interesse, di rado ci è capitato di essere snobbati completamente nei locali in cui ci capitava di suonare, magari condividendo il palco con altre band. Ma lo scoglio precedente, quello del gestore, è spesso difficile da superare: alla fine dei conti, rimaniamo un investimento, e i locali non vedo di buon occhio l’effetto sorpresa sul pubblico. Preferiscono andare a colpo sicuro, riempire il locale con qualcuno di già rodato ( o magari una bella cover band), vendere più cocktail possibili e ciao.
Il live che non scorderete mai?
Penso l’apertura ai Tre Allegri Ragazzi Morti. Non abbiamo mai suonato davanti a così tanta gente in tutta la nostra vita, né su un palco così grosso, né in un luogo a noi così caro. La Festa dell’Unità di Carpi (e sottolineo dell’Unità, visto che col Pd c’è veramente pochissimo da festeggiare) organizza da sempre dei cartelloni molto belli, che occupano le tre settimane centrali di Luglio. Una collina enorme che si riempie di gente tutte le sere, il luogo dei nostri primi concerti grossi (e gratuiti), le nostre sere d’estate da studenti del liceo, le birre a due euro del banco dell’Anpi. Essere lì sul palco, suonare prima della band che ti entusiasmava già quando eri ragazzino, un pienone allucinante … Insomma, cosa desiderare di più?
Cosa bolle in pentola per i Winona?
Speriamo pasta & fagioli!
Grazie mille ai Winona per questa bella intervista. Ragazzi, ci lascereste i vostri riferimenti web?
Certamente! Potete rimanere aggiornati su tutte le novità in casa Winona visitando la nostra pagina Facebook.
Qui invece potete ascoltare il nostro album “Fumine”
Grazie a voi per la bella chiacchierata!