Nonostante il silenzio discografico sono dieci anni che i Finley portano avanti il loro progetto. Al momento sono impegnati in un tour dedicato al loro primo album, “Tutto è possibile”. Non ci siamo perse quest’occasione e al loro concerto al Rock Movement di Torino abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Pedro, il cantante, e Ka, il chitarrista.
Dieci anni dopo l’uscita del vostro primo disco “Tutto è possibile”, tornate con un tour a lui dedicato. Da dove è nata quest’idea?
Pedro: E’ bello pensarlo come un’entità! L’avevamo battezzato il “bimbo” ai tempi delle prime uscite. Comunque ci sembrava un omaggio doveroso, ma indipendentemente da quello è stato un periodo fantastico della nostra vita, il periodo più sorprendente, più intenso, più pazzo e incredibile di quella che è stata la nostra adolescenza. Al di là di descrivere quei momenti che anche i nostri fan hanno vissuto in prima persona, voleva essere un modo per ripresentarci e riproporci live portando delle canzoni che per tantissime persone hanno significato qualcosa di importante come lo sono state per noi. Siamo molto contenti che tutto il pubblico abbia apprezzato molto l’idea, noi ci stiamo divertendo a suonare tutta la tracklist e stiamo vedendo che la risposta è positiva. Essere riusciti a rimettere in piedi un tour corposo in questo momento dove tutta la musica italiana ha difficoltà è una cosa che ci ha sorpreso positivamente.
Ka: E’ sorprendente non solo che la risposta del pubblico è positiva, ma che a ogni concerto che stiamo facendo succede l’inaspettato. E’ difficile mettere insieme una struttura di questo tipo, ma riuscire a portare questi numeri di persone è una cosa sorprendente che ti fa dire “allora ho combinato qualcosa, è successo davvero qualcosa”, dieci anni fa non ci accorgevamo di questa cosa.
Pedro: Ti rendi conto che tu riesci ancora a dire “Ragazzi, noi ci siamo. Ci sono i Finley, c’è un pubblico che viene a vedere i Finley e siamo una realtà che nonostante un silenzio discografico di tre anni pieni comunque ha il proprio pubblico, ha il proprio valore.” Non che lo avessimo messo in discussione, però è la dimostrazione tangibile di quanto il nostro progetto musicale sia ancora appetibile e faccia felici le persone.
Ka: Comunque abbiamo lasciato un segno. Non è un vanto, è proprio una questione oggettiva. Abbiamo lasciato un segno e dieci anni dopo vedere questo segno che si ripresenta è un forte segnale anche per noi, ma sopratutto è uno stimolo. Noi purtroppo siamo anche così: se non ci auto punzecchiamo succede il silenzio, succede che ci fermiamo un attimo, ci guardiamo intorno, però queste cose qua ci rimettono in moto.
Pedro: Il concerto del Circolone, ma anche quello di Firenze, l’ho vissuto in una maniera incredibile. Stiamo vivendo queste date divertendoci come non capitava da tempo. Uno spirito diverso, non che prima non ci divertissimo però proprio con una voglia di andare a suonare e di passare il tempo insieme.
Ka: Abbiamo fatto i nostri primi due anni a una velocità della madonna e ci siamo divertiti tanto. Ci sono stati dei momenti dopo in cui facevi delle cose perché andavano fatte e ora questo tour ci sta facendo ricapire le prime cose. Fare questo tour di dieci anni ci rimette in moto il cervello ci fa riprovare delle cose che forse avevamo dimenticato.
Pedro: Sono tutti stimoli positivi che ti aiutano e influiscono sulla tua vita personale, sulla scrittura. Queste cose ti fanno affrontare meglio tutto il resto.
I Finley dieci anni dopo: in cosa vi sentite cambiati? Un aggettivo per descrivere i Finley di dieci anni fa, e uno per descrivervi adesso.
Ka: I Finley dieci anni fa incoscienti e felici. I Finley di oggi felici, coscienti e secondo me anche appagati. Non è facile compiere dieci anni di carriera e pensare “Abbiamo costruito qualcosa”, sei sempre alla ricerca di qualcosa di più; i numeri in classifica, i passaggi in radio, le persone ai concerti. In realtà questo è quello che cercavamo, la nostra dimensione.
Pedro: Ma se lavoriamo bene è una dimensione che è destinata a crescere, non a diminuire. Va bene rivivere un momento importante, una ricorrenza, però crediamo che il lavoro fatto bene possa pagare e quindi questo può essere un modo per riavvicinare gente che si era allontanata per tot tempo perché eri uscito dai loro radar, dalla sovraesposizione mediatica che avevi avuto nei primi anni, questo è un modo per poter poi riproporre del materiale nuovo. Per quanto riguarda gli aggettivi… io non sono cambiato per un cazzo! Sono sempre il solito rompicoglioni di prima, la stessa fighetta di prima… stessi difetti! Questa sicurezza che ho è solo apparenza.. in realtà dentro sono ancora un timido pulcino!
Quale canzone dei Finley dedichereste a voi stessi e perché?
Ka: Abbiamo una canzone più romantica dell’altra.. romantica nel senso che ci auto dedichiamo dei messaggi di vita, di positività. Sono legatissimo a “Tutto è possibile”, a “Il meglio arriverà”, sono tutti messaggi che vivo sulla pelle e quindi ci credo, però scelgo “Un giorno perfetto” perché vedo quel giorno perfetto come un giorno normalissimo vestito da traguardo, come se quella normalità fosse la tua normalità. E la acquisisci nel momento in cui impari delle piccole cose, e noi non chiediamo l’universo, chiediamo solo delle piccole lezioni di vita ogni volta e imparare da quelle e trovare la nostra stabilità. Quello è il nostro giorno perfetto.
Pedro: La mia è “Fantasmi”. Perché è bella la lotta costante con i propri demoni, fa crescere e ti fa migliorare, per quello non è mai cambiato niente.. perché come dice anche Ligabue in “Arrivederci, Mostro!” alla fine i fantasmi ritornano sempre, e comunque non sei mai pronto, devi sempre tirare fuori le unghie… poi si presentano sempre sotto forma diversa ed è una cosa che ti lascia sempre un po’ scosso, è difficile da affrontare ma in qualche modo poi uno ce la fa e può vedere le altre cose in maniera ancora più positiva.
Se doveste descrivere la band con una bevanda, quale scegliereste?
Pedro & Ka: La Finley*!
Pedro: No dai io scelgo il Chinotto. Anzi no, la Sheweppes perché è l’unica bibita da duri. Le altre sono tutte dolci.
Ka: Sarebbe facile dire Coca e Havana Club, però dico Cuba libre.
A Julia Roberts in passato è stato chiesto che cosa non le piacesse del suo corpo. Che cosa non piace a voi come band?
Ka: C’è una cosa che non mi piace della mia band: il fatto di prendere poco sul serio tutto, che può essere anche una cosa positiva, però siamo troppo una banda di scappati di casa che si diverte e scrive delle canzoni, va in studio a registrarle, ma tutto sempre come se fosse una banda di amici. E’ positivo perché affrontiamo tutto in maniera molto amichevole, ma non lo affrontiamo come un lavoro, quindi questo secondo me è il difetto che poi accusiamo anche sul nostro storico. Ci sono band che lo fanno con molta meno passione ma con tanta professionalità, e questa cosa paga. E invece noi ci facciamo le nostre gite!
Pedro: A me non piace che la mia personalità predominante oscura totalmente gli altri elementi della band. Non riescono ad uscire fuori questi ragazzi! (ndr: ride insieme alla redazione di Brainstorming Magazine)
Ultima domanda: progetti futuri? C’è un disco all’orizzonte?
Ka: Allora.. c’è della musica all’orizzonte. Non c’è un disco in questo momento, anche se lo vorrei. Credo che la direzione musicale del mercato stia andando in un altro senso, e stiamo capendo come affrontarla. E’ stato un periodo travagliato: abbiamo scritto tante canzoni, abbiamo registrato dei pezzi, e abbiamo cercato un nuovo sound per i Finley e lo abbiamo trovato. Adesso dobbiamo procedere dal punto di vista discografico. Saremo pronti nel breve, ma non con un album. Un brano dopo l’altro, perché dobbiamo riconfermare delle cose a piccoli passi. La nostra fortuna è che non dobbiamo dipendere dalle dinamiche discografiche e quindi possiamo anche fare gli anarchici e pubblicare quello che ci va.
Pedro: Essendo poi una band indipendente non dobbiamo soffermarci solo sul lato artistico ma anche discografico, e ci sono grandissime difficoltà nel mercato quindi bisogna calibrare bene gli investimenti. Bisogna pensare che difficilmente oggi un album viene ascoltato interamente. Le canzoni non hanno tutte la stessa importanza come avveniva tempo fa. Escludiamo le nostre band preferite, di cui ascoltiamo l’album e lo consumiamo. Però effettivamente, c’è così tanta dispersione di messaggi, che uno rischia di pubblicare un album e far passare in secondo piano delle canzoni alla quale tieni tantissimo.
Ka: Noi diamo importanza a tutte le tracce, che magari non ricevono la stessa esposizione.
Pedro: Avveniva anche prima questo, ovviamente un singolo ha maggiore rilevanza, però acquistando un disco davi importanza a tutto il pacchetto del cd e facevi un investimento. Adesso ti arrivano gratuitamente, ti passano tante cose sotto gli occhi.. e saranno pochissime le persone che gli danno la stessa attenzione di prima.
Ka: Anche delle mie band preferite ultimamente faccio fatica a trovare dei prodotti che mi abbiano veramente entusiasmato, e probabilmente neanche il nuovo cd dei Finley può entusiasmare a ‘sti livelli.
Pedro: No, quello sarà sicuramente entusiasmante!
Visto che in questo periodo sono tornate alla ribalta le band pop punk degli anni 2000, non credete che sia il momento propizio per un album?
Pedro: Difficilmente riproporremo un lavoro legato alle origini, perché ora ascoltiamo musica diversa. Però effettivamente ben vengano le super band americane e inglesi, che con le chitarre spingano la gente a tornare a suonare, ad andare ai concerti. Perché tutto dipende da quello che succede là… poi tu puoi essere la mosca bianca, ma servono quelle spinte lì per uscire fuori, è innegabile.
Qual è il significato del nuovo logo?
Pedro: L’ha disegnato Ka! Volevamo qualcosa di sintetico, ma con delle linee asciutte. Un qualcosa di semplice, ma allo stesso tempo efficace. Volevamo una cosa d’impatto totalmente diversa. E’ nato in un momento in cui la nostra pre produzione aveva degli elementi più elettronici, anche i colori fluo che vedete al merch traggono più da quel mondo, più futuristico, più spaziale. Adesso abbiamo trovato un mix tra le due cose, quella non era la nostra direzione definitiva.
Camilla Ortolani e Noemi Schiari