Il tour di Gio Evan continua e in apertura dei suoi concerti c’è sempre il nostro Salice. Il diario di bordo prosegue e questa è già la quarta parte, ma lasciamo la parola direttamente all’artista!
Salice in tour con Gio Evan
Diario di bordo, parte 3
14 dicembre 2019
Vidia, Cesena
A Cesena c’è un’atmosfera di città frontiera. Colpo di coda del piano padano, è incastonata a metà strada tra il mare e l’appennino. La tratta del Regionale tra Bologna e Cesena stiletta questo mare di latte comunemente conosciuto come nebbia in Valpadana, e per lunghi tratti sembra di attraversare la Stanza dello Spirito e del Tempo del manga-anime DragonBall. Niente orizzonti, niente sagome, niente suoni. La prima volta che ho fatto i conti con l’umidità invernale della pianura più estesa d’Italia fu nel lontano duemilasette. Avevo diciassette anni, erano le sei del mattino di non so quale giorno di febbraio e aspettavo un’amica alla stazione di Ferrara. Avevo dimenticato i guanti in treno. Di fronte la stazione, una zona agricola con macchie industriali si perdeva in un’alba biancastra: la notte stessa nevicò tantissimo. Comunque, ricordo un rigolo di fumo che saliva perfettamente verticale. La nebbia fredda mi ricordò l’acqua dell’Atlantico descritta da Leonardo DiCaprio in Titanic: ti trafigge. Qualsiasi parte del corpo non coperta da un tessuto sembrava congelarsi all’istante. Oltre alle mani, quella mattina ho rischiato il naso.
Cesena
Quando ieri sono uscito alla stazione di Cesena il cielo era azzurro. Alle due del pomeriggio fa meno freddo, ma la voglia di arrivare in albergo a farmi una doccia calda era comunque molto alta. Comunque, l’autobus mi lascia alla fermata che Google Maps mi segnalava come quella più vicina all’albergo. Ero in aperta campagna. Una stradina la tagliava in due, e arrivava a edifici commerciali grigi su cielo terso. Perplesso, ho attraversato il terriccio umido scansando le automobili che occupavano l’intera corsia. Ero un coperto di fango, ma ero in camera.
Durante il soundcheck è arrivato Gio, pronto per provare la sua voce. Mi conosce solo da qualche settimana, eppure la sua positività è troppa per stare solo nel suo corpo, ha bisogno di regalarla in giro, così, anche se ero dall’altra parte del locale, prima di calcare il palco ha scavalcato la transenna dietro la quale ero e ha fatto una delle cose che sa fare meglio: abbracciare.
Il Vidia
Il Vidia è un locale che vive, quasi sembra muoversi. Le locandine collezionate nei suoi circa trentacinque anni di attività sono le rughe che gli danno fascino quando sorride. Personalmente, ho sentito un brivido dietro la schiena a leggere certi nomi: Radiohead, Jeff Buckley, NOFX e Subsonica sono solo alcuni tra quelli passati di lì. Come se non bastasse, è strutturato in modo avvolgente: la gente può starti tutto intorno, come una coperta. Il backstage, poi, è letteralmente un’opera d’arte contemporanea. Ovunque, tutti i musicisti che hanno suonato lì hanno reso quattro pareti bianche pagine di un poema dove i capitoli sono le storie che quel palco ha vissuto. Ovviamente, ho tirato fuori dallo zaino l’Uniposka col quale correggo le schede dei miei allievi di chitarra e ho dato il mio contributo a quel poema collettivo: SALICE, 14-12-19.
Dopo la festa ho avuto il privilegio di viaggiare fino all’hotel nel furgone di Gio e soci. Abbiamo fatto una gara di tabelline urlate e ho perso a diciassette per quattro. Spero di rifarmi a Bologna.