La figura professionale della booking agent è una delle più importanti per il musicista. E’ lui che si prende l’incarico di passare ore al telefono per organizzare un tour. A volte l’artista crede che da fare tutto da solo sia la scelta migliore, ma non è così. Esiste una figura apposta perché organizzare un tour non è un gioco da ragazzi e se lo vuoi fare bene nei locali che possono permetterti di crescere come artista, devi affidarti a professionisti come Francesca Gabbriellini.
Lavorare come Booking Agent
Francesca Gabbriellini lavora da anni nel settore musicale e recentemente ha aperto la sua agenzia di booking, meno_warehouse, al Redroom Recording Studio di Nodica (PI). Abbiamo avuto la fortuna di fare quattro chiacchiere con lei e ci ha raccontato come è diventata e cosa vuol dire fare la booking agent.
Ciao Francesca, è un piacere intervistarti. Tu gestisci un’agenzia di booking, Meno_warehouse a Pisa. Parlaci un po’ di questo mestiere. Come scegliete le band da seguire?
Per quel che mi riguarda, penso che più che di “mestiere” si possa parlare di trasformazione di una passione in qualcosa più possibile simile a un lavoro. Trasportare le competenze acquisite negli anni e la voglia di continuare a formarmi senza sosta in una dimensione professionale a cui dare concretezza, un nome, un ufficio.
Meno_warehouse accoglie progetti artistici che si dispongono lungo due filoni principali: uno che per estrema comodità chiameremo indie – ma potremmo parlare per ore delle radici, dell’evoluzione, dell’utilità di questa categorizzazione – e uno che possiamo definire live electornics. Con gli artisti che finora stanno riponendo fiducia nel progetto si sono attivati contatti ora per fortunate coincidenze, ora come frutto di precisa pianificazione.
Ti occupi solo della ricerca dei concerti o di tutta l’immagine e la comunicazione dell’artista?
I live costituiscono una parte fondamentale di questo processo in termini di diffusione e sostenibilità, ma non sono tutto. Provengo dal mondo della produzione di eventi live e probabilmente conservo quella deformazione professionale che è l’amore per l’organizzazione. Per questo motivo sono sempre molto lieta di dare un contributo anche sul fronte della strategia comunicativa. Ho la fortuna di lavorare sia con persone accompagnate da una solida squadra per quanto concerne produzione artistica, label, ufficio stampa, sia con persone che artisticamente non sono ancora uscite allo scoperto.
In entrambi i casi si tratta di raccogliere una sfida che non si vince soltanto componendo un tour, ma soprattutto valorizzando la qualità di ciò che si sta offrendo al pubblico, attraverso la costruzione dell’attenzione attorno ad esso.
Come entri in contatto con un nuovo locale?
Si riesce a stabilire una relazione duratura con un locale, o un festival, se fin da subito ci si riconosce sul piano professionale. Poi si lavora insieme e mano a mano si stabiliscono dei rapporti di fiducia reciproci.
In questo mestiere si ricevono spesso più rifiuti che risposte positive. Come affronti i tanti “no”? A volte ti sei buttata giù?
Basta inquadrare la natura del diniego ricevuto e rimodulare le proposte future. Si tiene a mente che, ad esempio, quel club non è interessato a un certo genere o che quel direttore artistico predilige musica di provenienza straniera e così via. Soprattutto all’inizio non ci sono particolari sfere di cristallo, procedere con educata determinazione e con cura estrema delle relazioni penso e spero possa creare un positivo effetto-domino.
Quali sono i tempi necessari, all’incirca, per organizzare il tour di una band?
Facendo riferimento all’ultimo tour organizzato: Una quindicina di date si possono chiudere in un trimestre serrato. Sono certa che i grandi protagonisti del mondo del booking abbiano tempi ancor più ristretti. Nel mio piccolo ho puntato a un assortimento tra grandi venue, teatri, provincia e città.
Ultima domanda: cosa ti ha spinto ad intraprendere questo mestiere?
La voglia di intraprendere questo mestiere è nata da un forte desiderio di retrovia ben rappresentato da una recente canzone di Riccardo Sinigallia, “Backliner”.
Da spettatrice malata di musica ho sempre desiderato stare dietro, brigare, spostare, magari, chissà, proporre, organizzare. Ho fatto in modo che tutto questo avvenisse: dai concerti organizzati a Rebeldìa (centro sociale storico pisano del mio cuore), i live per le radio indipendenti, la runner e contemporaneamente il press ai festival, la produzione in studio, fino all’importante esperienza come head of production presso il Lumière di Pisa. meno_warehouse, come dice parte del nome, è un deposito di esperienze che si sono fatte eco a vicenda per un decennio, ripetevano un mantra che solo arrivati i trent’anni ho avuto il coraggio di ascoltare fino in fondo. La figura principale di questa presa di coscienza è Marina Mulopulos, meravigliosa cantante italo-greca, amatissima amica e insegnante, che mi ha insegnato a smascherare il dolore dietro la festa e a riconciliarmi con la voce e le voci.
Leggi anche: Donne e musica, chi si nasconde dietro al concerto: la Booking Agent