Marco Germani è un artista completo: chitarrista in diverse band, insegnante, fondatore di un’associazione culturale che dà spazio ai giovani e ad innumerevoli iniziative artistiche. Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo, ed ecco cosa ci ha raccontato riguardo alle sue tante attività.
Intervista Marco Germani
Ciao Marco, benvenuto su Brainstorming! Dalla tua biografia leggiamo: sei musicista in diverse formazioni, insegnante, hai fondato un’associazione culturale e sei anche scrittore. La domanda sorge spontanea: come fai a conciliare tutto?
Ho tutta la giornata per fare solo questo, quindi basta suddividere gli impegni! A parte gli scherzi, in realtà le mie formazioni musicali sono frutto di un lavoro di molti anni, quindi siamo molto rodati e operativi quando serve. Suono con musicisti molto bravi, disponibili e professionali, di conseguenza basta organizzare prove e concerti con un po’ di anticipo e tutto fila sempre liscio. Da un anno a questa parte tutto si è rallentato quindi qualche situazione è in stand-by e con alcune non siamo andati avanti con il repertorio, ma so che appena si potrà sarà come andare in bicicletta… Come insegnante tendo a non prendere troppi allievi in modo da poterli seguire bene, poi con la novità dell’online si può lavorare bene anche in remoto. Non ho smesso di insegnare nemmeno quando mi sono ammalato di Covid-19: basta essere ben organizzati e far capire all’allievo che la lezione è importante come stimolo e come momento di confronto. Scrivo solo quando ho l’ispirazione e mi dedico anche a recensioni di artisti emergenti e a curare un po’ i social. L’associazione è il contenitore di tutto questo, oltre che dello studio di produzione e delle sale per le lezioni.
Cosa ti ha fatto scattare la scintilla che ti ha fatto innamorare della chitarra?
A nove anni mia madre mi iscrisse ad un corso insieme ad un mio compagno di classe che già suonava. Il nostro maestro ci fece suonare dei semplicissimi duetti e ci faceva aprire i concerti dei ragazzi più grandi, questo ci responsabilizzava molto e di conseguenza stimolava la nostra passione. Poi nell’adolescenza ho scoperto lo strumento elettrico e le grandi band del rock e del metal, mi sono appassionato alle vicende di questi personaggi e ho cominciato a suonare nei garage con molti amici strampalati. Questo mi ha fatto capire che la musica se condivisa è più divertente ed è un fantastico momento di svago ed aggregazione. La chitarra inoltre è uno strumento comodo e versatile: in una band permette di esternare anche un po’ di megalomania, il che non guasta durante una performance. Credo che sia uno strumento molto sensuale e nella sua forma distorta hendrixiana diventi quasi un’arma potentissima.
Il tuo ruolo da insegnante di chitarra: qual è il tuo approccio con gli allievi, e oltre alla tecnica cosa ritieni che sia fondamentale trasmettere loro?
In primo luogo devono essere motivati ad affrontare un viaggio che non può concludersi in qualche mese: ho cambiato diversi metodi negli anni e ultimamente sto utilizzando proprio i riff e gli assoli delle canzoni famose per poter da subito sviluppare il meccanismo dell’imitazione. Una volta “svezzati” tendo a portarli in una situazione da band, proprio per far capire loro il ruolo di ogni strumento e nel dettaglio quello della chitarra. Ogni persona è diversa e impara a modo suo: chi imitando, chi ragionando, chi ascoltando, chi creando degli automatismi. Tutti possono arrivare ad un buon livello se si allenano costantemente e si pongono degli obbiettivi. E’ molto importante procedere per gradi senza trascurare la tecnica e la conoscenza ritmico, armonica e melodica, che non devono essere fini a se stesse, ma contestualizzate negli stili musicali (il blues si suona diversamente dal metal, il funk dal country, etc…)
Hai fondato un’associazione culturale, After Life Music Dimension, che si occupa di musica ed intrattenimento con molte attività. Da dove nasce quest’idea e puoi raccontarci le tappe fondamentali di questo progetto?
L’associazione nasce dal primo centro musicale moderno di Vigevano che risale al 2000 e dalla mia esperienza come consulente nelle scuole e nei centri di aggregazione comunale. Con gli anni mi sono reso conto che per le persone è molto importante condividere una passione e trovare un ambiente e delle persone che possano far crescere l’amore per questa. Di conseguenza è fondamentale organizzare attività in locali, teatri, feste di piazza, manifestazioni, carceri, scuole, etc. Purtroppo questo periodo nefasto ha cancellato questa possibilità e la mia paura principale era che le persone smettessero di suonare e cantare, invece abbiamo tenuto duro e abbiamo lavorato moltissimo in remoto coinvolgendo tanti amici del web e alla fine ci siamo ritrovati quasi tutte le sere online con conferenze e corsi.
Qual è il tuo approccio alla composizione dei brani? Com’è il tuo processo creativo?
Dipende da cosa devo scrivere e dal mio ruolo: nel caso di un brano da band in genere invento e registro tutti i riff delle ritmiche, la parte di basso e creo una batteria verosimile con i virtual instruments, creo una struttura accettabile e passo il tutto ai cantanti che hanno carta bianca, poi registriamo la voce guida e qualche coro, sistemiamo la struttura e passiamo il materiale al batterista che la può ri-arrangiare come meglio crede. Prima di inciderla in studio ovviamente la proviamo più volte tutti insieme. Questo è un processo buono per una brano da band, per altre tipologie può anche essere che utilizzi solo strumenti elettronici e poi aggiunga qualche “feat” o che richieda a un artista di ricalcare una parte in modo più simile alla linea registrata. Spesso lavoro come arrangiatore su brani registrati chitarra voce o piano e voce e tento di capire cosa piace all’artista, magari ascoltando insieme dei brani di riferimento. In tutti i casi lavoro sempre e solo su di una DAW (Pro Tools), tentando di avere un provino più simile possibile a ciò che vorrei come prodotto finale, anche se alle volte i contributi umani poi mi fanno cambiare idea e modifico il brano successivamente. Non sono solito avere un produttore che supervisiona, ma amici molto competenti ai quali mando i provini o i brani incisi e chiedo loro un parere e sono sempre molto obbiettivi, dandomi utili consigli.
“Jailbreak” è un pezzo potente nelle immagini di solitudine che trasmette, e nasce dalle emozioni provate durante il lockdown, che a molti ha tolto ispirazione e assorbito tutte le energie e la creatività. Come avete fatto a trasformare queste emozioni in musica? E’ stato diverso il processo di scrittura e composizione rispetto al passato quando la situazione era di normalità?
In realtà ho esattamente usato il processo descritto nella domanda precedente, la differenza è che ero chiuso in casa e avevo solo una chitarra acustica e un portatile con una piccola scheda audio. Non potendomi recare in sede ho improvvisato con mezzi molto scarsi, ma appena ho potuto sono riuscito poi a dargli una forma accettabile. Non ho perso la creatività e la voglia di fare per il covid-19, anzi direi che mi ha dato nuovi spunti, semplicemente a casa non sono ben attrezzato come in sede, comunque poi fortunatamente siamo riusciti a lavorare. Questa emergenza ha fatto capire quanto in Italia la musica non sia considerata un lavoro importante.
Hai pubblicato tre concept album che esplorano la psiche umana nella sua complessità: esperienza pre-morte e regressione ovvero tornare alla vita dal limbo. Cosa ti affascina di questo mondo?
Mi è sempre interessato tutto ciò che trascende la realtà: penso che la nostra vita sia solo e unicamente un viaggio verso un’altra meta, però è comunque importante ciò che facciamo e come ci comportiamo. Penso anche che i nostri sensi siano limitati e che la musica e l’arte ci permettano di ampliarli e ci donino una capacità di vedere oltre la quotidianità.
Tre album che ti hanno cambiato la vita.
Passion and Warfare di Steve Vai, The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, The Fragile dei Nine Inch Nails. Penso che potrei ascoltarli all’infinito perché a mio parere sono capolavori pari a un’opera di Mozart.
Ultima domanda: se dovessi descrivere la tua musica con un drink, quale sarebbe e perché?
Credo del whiskey speziato per quanto riguarda i brani da band e dell’assenzio per quelli più elettronici e complessi. Grazie per l’interesse e l’intervista, capita di rado di essere considerati!
Associazione After Life Dimension