“IT’D BE LOVELY” di GIACOMO LURIDIANA è una ballata che guarda alla vita come ad un percorso cieco, senza guide né direzioni. Un mistero che è impossibile da svelare e che, proprio per questo motivo, ci dispera e appassiona allo stesso tempo.
Giacomo Luridiana intervista
Di cosa parla It’d be lovely e perché hai deciso di far emergere questo brano proprio ora?
Parla di com’è sentirsi senza una direzione, senza uno scopo e senza un significato, di come sarebbe bello avere una guida ma di come al tempo stesso questo violerebbe le regole del gioco della vita, per quanto crudeli siano. Ho deciso di far emergere ora il brano perché mi rappresenta molto, lo sento estremamente vicino e adesso che sto lavorando all’uscita di vari singoli e alla produzione di un album voglio dargli il giusto valore per quello che rappresenta.
E in definitiva, come ci si sente a non avere una direzione?
Male. E’ una sensazione che ti fa sentire stanco di giorno e ti toglie il sonno di notte, che ti fa dubitare di te stesso e ti lascia senza nemmeno quelle ultime piccole certezze che vengono dal credere di conoscersi.
Cosa ha portato di buono la quarantena, se ha portato qualcosa di buono?
Penso che in generale non abbia portato nulla di buono. Io personalmente l’ho sfruttata per riprendere in mano la chitarra classica, ma solo perché ho avuto la fortuna di non essere tra quelli che ne hanno subìto le conseguenze peggiori, è stato un evento catastrofico e il fatto che alcuni di noi abbiano trovato piccole occasioni nei cambiamenti che ha portato non lo rende meno orribile.
Quali sono i tre brani fondamentali per la tua formazione? E perchè?
The promised land di Bruce Springsteen per l’energia e le suggestioni che mi dà e che si collegano direttamente alla ragione per cui scrivo canzoni; In the end dei Linkin Park perché è stata forse la prima canzone che mi ha appassionato al punto di ascoltarla in continuazione; Samarcanda di Vecchioni perché è la prima canzone che ricordo di aver ascoltato.
Se fossi un drink quale saresti? E come mai?
Un negroni. Perché è l’unico che bevo.
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