Benvenuti sul diario di bordo di Brainstorming, una rubrica in cui gli artisti ci racconteranno in prima persona come sono nati i loro brani. Piccoli spezzoni di attimi in studio e confessioni di una mente creativa. Le prime pagine del diario di bordo sono dedicate agli Igloo e alla loro “E’ vuota”.
Diario di Bordo – Igloo, “E’ vuota”
Aprile 2020. Le prime parole del brano iniziano a ronzare in testa durante una breve pausa presa dallo studio, fumando sul balcone. Piove. Spostandosi al piano, dopo aver cercato un paio di accordi, inizia a scorrere un elenco di cose sempre più grandi, sempre più lontane. A tutte manca qualcosa e ci concentriamo proprio su questo: l’assenza.
Una stanza può essere piena di oggetti, piena di suoni e di persone, ma sarà sempre vuota di ciò che non è lì in quel momento, come una bocca delle parole che non dice e una mano di quello che non riesce a stringere. Il vuoto ci ha fatto comporre usando pause, suoni puntiformi e gravi (perché da sempre il vuoto spaventa).
La voce è distorta e mascherata perché il vuoto ci porta in una dimensione metafisica – il vuoto ci fa fermare e quando siamo fermi riflettiamo. E quando riflettiamo riempiamo il vuoto di pensieri e il ciclo vuoto-pieno ricomincia. Per questo È Vuota è un brano circolare, con alti e bassi che ritornano e distorsioni improvvise che spiazzano, come quando ti trovi sul ciglio del burrone e potresti precipitare o fermarti di colpo. La fine è strumentale, vuota di parole e piena di rumori, come alla fine ogni vuoto che un essere umano percepisce.
“E’ vuota”
È Vuota è un brano profondamente artigianale. Nel senso letterale del termine: se con altri singoli capita spesso di jammare insieme e poi affinare progressivamente, in questo caso si è trattato di un lavoro di cesellatura e pianificazione. Entriamo nella nostra sessione Logic e gettiamo le basi. Sul tornio sarebbe la base del vaso, in È Vuota è il basso.
Abbiamo scelto un synth bass organico e composito, formato da tre diverse sorgenti sonore: una è una semplice onda sinusoidale, una nota grave e profonda, “di pancia”, che è facilmente riconoscibile, avvolgente e gutturale. Un’altra è un ottone (brass), che simula l’ariosità e la vitalità di un fiato distorto. La terza componente è un pluck, una notina metallica che indirizza l’orecchio nel mare sonoro e taglia attraverso il mix (“esce”). Siamo fan delle notine. L’intero synth bass così composto è modificato pesantemente da diverse automazioni, cosicché durante il brano muta e respira come se fosse vivo: quieto, distorto, enorme.
Poi sono venute le chitarre. Le abbiamo registrate nella nostra saletta di fronte alla stazione di Grugliasco. Industriale l’ambiente, industriale il sound. Le pareti di cemento hanno riflessioni particolari sulle frequenze acute e un leggero riverbero naturale che si sposa bene con il suono tagliente della chitarra post-rock in bending. Il setup è semplice: Nick, la sua Gibson Les Paul Studio, la pedaliera, ampli e un SM57. Il resto è la sua fantasia.
In ultimo, l’elemento più sperimentale è la voce. Ci siamo chiesti come rendere sonoramente l’idea di vuoto e di spaesamento, e abbiamo trattato a fondo la voce con autotune, vocoder e una chain di effetti inusuale, creando spazi sonori di comfort, rottura, sorpresa e straniamento. La parte più folle dell’effettistica vocale è stata lo stravolgimento del nostro concetto di linea melodica. Quella che prima era una linea decisa totalmente prima di registrare, ora è diventata un materiale da plasmare in fase di editing, modificando in modo ritmico e repentino il pitch della voce, che diventa a sua volta simile a un synth.
È Vuota esplora i significati dell’assenza. La più grande sfida è stata realizzare l’idea di assenza attraverso la presenza, di suoni. Noi abbiamo scelto un approccio artigianale, cesellando ogni aspetto del sound design per far esplorare all’ascoltatore i diversi significati del vuoto.