Oggi parliamo di cambiamenti, in particolare delle rivoluzioni che ha subito la musica e l’industria musicale da quando abbiamo aperto Brainstorming fin ora. Ormai lo sapete per i nostri 10 anni ogni mese vi raccontiamo un pezzettino della nostra storia. Questa volta ci avete chiesto un articolo sulle differenze tra prima e ora.
Musica come è cambiata in dieci anni
Quando abbiamo aperto Brainstorming stava finendo il periodo dei forum e il nostro genere musicale preferito, pop punk, stava tramontando. Sfogliando le prime pagine del nostro magazine la prima cosa che mi risalta l’occhio è la grande quantità di band rock di quel periodo. Il ricordo principale che ho legato al 2011 sono i tantissimi concerti underground a cui andavamo. Facevamo veri e propri tour in giro per il centro Italia per seguire la piccola band emergente del paesino accanto al nostro.
Era anche il periodo del ritorno dei Sum 41. Un cambiamento di suono profondo: molto più cupi e quasi più vicini al metal. Era anche il periodo delle band screamo che spopolavano.
La più grande differenza è che a quei tempi non c’erano così tante produzioni amatoriali. Gli artisti che volevano provarci uscivano con prodotti confezionati bene e spesso aiutati da professionisti. Non c’era il bombardamento di uscite discografiche e non c’era Spotify a dettare legge. Contava solo una cosa: i live. Attraverso i concerti ti potevi far conoscere e crearti una vera fan base. I locali investivano più soldi e avevano appuntamenti fissi con artisti emergenti. In dieci anni tantissimi di quei locali sono chiusi e quelli rimasti ormai fanno suonare solo gli artisti che già conoscono.
C’è talmente tanta roba che non si riesce più ad ascoltarla e quando ci si ferma un attimo ci si ritrova con pezzi tutti uguali o fatti in modo troppo approssimativo.
Un’altra grandissima differenza è a livello di ufficio stampa. Quando abbiamo iniziato a lavorare come ufficio stampa era il 2016 ed era tutto più facile. I magazine cercavano davvero nuovi artisti e avevano davvero voglia di ascoltarti. Se gli piacevi ti recensivano, sennò pazienza. Quei magazine che ora sono dei colossi a quei tempi erano ancora piccoli e sono cresciuti proprio grazie agli artisti emergenti, ma ora sembra se lo siano dimenticato.
Ora si finisce spesso nella trappola degli articoli a pagamento. Già, sono tantissimi le riviste, i blog e le pagine Instagram che chiedono soldi per scrivere una recensione e spesso sono cifre assurde. Non è una filosofia che approviamo. Ci può stare una donazione fatta con il cuore a qualcuno che fa davvero un buon lavoro e ci mette l’anima, ma pagare un articolo? Anche no.
Ora siamo circondati da un meccanismo volto a spennare l’artista. Ormai siamo in un circolo vizioso come un cane che si morde la coda. Gli artisti credono di poter fare tutto da soli, si improvvisano addetti stampa o produttori, per poi regalare centinaia di soldi a playlist e articoli a pagamento. Dal punto di vista dei professionisti se tutti si improvvisano addetti ai lavori, tanto vale fare una playlist a pagamento. In fondo i musicisti vogliono quello. Ora gli artisti sono solo interessati a numeri facili, quello che notiamo è la poca pazienza degli emergenti. Hanno fretta di far crescere i numeri senza voglia di creare davvero un rapporto con il proprio pubblico.
Le differenze più grandi è che ora siamo sommersi di musica. Se da una parte questo dà l’occasione a chi non ha troppi soldi di farsi notare, dall’altra sta distruggendo il settore finendo per mettere ancora più in ombra musicisti validi. Tanta quantità, ma davvero poca qualità. Tutto è basato solo sul digitale, sugli ascolti di Spotify e ci sono sempre meno opportunità per gli artisti di suonare live. I concerti a mio parere rimangono la più grande risorsa per un musicista e una volta che questa pandemia sarà finita chissà quanti di quegli artisti con milioni di ascolti saranno davvero capaci di suonare su un palco.