Nuovo capitolo della nostra rubrica diario di bordo dedicata a Francamente e la sua “Taxi”. La cantautrice ci racconta come è nato il suo brano e qualche piccola chicca.
Diario di Bordo: Francamente
Scrivere di come nasce una canzone è complesso. Sapresti indicare con esattezza quando è nato un sentimento, un desiderio, una paura? Lo spazio e il tempo che occupavi, che cosa stavi facendo e immaginando? Gli esseri umani non appartengono all’istante, se non in pochi casi. Ogni relazione stretta con persone, oggetti o luoghi è un processo, una linea più che un punto. La scrittrice Chiara Valerio dice che si conosce “per frequentazione” e io le credo.
Taxi è stata scritta durante l’estate 2020, ma non so dire quando la precarietà dei rapporti umani abbia iniziato a spaventarmi. Non parlo della perdita di un amore. Innamorarsi è raro, mentre a me interessa la banalità dei legami, il loro scartarsi e consumarsi nel giro di settimane. Fingiamo che Persona Interessante catturi la tua attenzione: il gioco inizia quando sei ricambiatə. Se i rapporti umani fossero stanze, quella in cui vi trovate ora tu e Persona Interessante è vuota. Ogni parola scambiata tra di voi è un nuovo oggetto di arredo. Secondo le regole del gioco, gli incontri valgono di più e se nasce un’amicizia anche le pareti cambiano colore. La stanza diventa speciale, sai trovarla tra tante, ne riconosci la porta, che apri e chiudi quando desideri. Lieto fine dunque, qualsiasi sia la relazione tra te e Persona Interessante.
Ci sono però altre possibilità. La stanza può rimanere spoglia, inutilizzata e dimenticata al pari di Persona Interessante, oppure distrutta, perché i ricordi e gli odori che contiene sono troppo dolorosi. In alcune circostanze diventa invece un cantiere in perenne attesa di ristrutturazione.
Qualunque sia l’epilogo, non è questo il tempo di cui parla Taxi. Non la fine, bensì l’inizio di un rapporto, la possibilità che evolva, la speranza di non essere soltanto di passaggio, il voler partecipare per istinto alla vita di chi ci interessa in un misto di precarietà e sfrontatezza, ecco sì, questa è la dimensione di Taxi. Non la stanza già arredata, ma la consegna delle chiavi e il girarle nella toppa sperando che l’altra persona abbia le nostre stesse intenzioni.
Il desiderio di non scendere dall’auto quando il taxi arriva a destinazione, ma di restare con chi guida per conoscerlə meglio.
Non so che nome abbia questa inclinazione spontanea verso chi ci interessa, ma somiglia a uno slancio costante. Questa propensione è il nucleo da cui è arrivato il ritornello di Taxi con le sue strofe. Una canzone riesce a indicare ciò che alle parole sfugge ed è questo suo potenziale ad alimentare il processo creativo.
Ci pensi che ogni canzone è una possibilità nuova di dare nomi alle cose?
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