Roma è quella terra decisamente strana, che è la città più grande d’Europa ma allo stesso riesce a regalare dischi così intimisti come questo omonimo di Saera. Lei è una cantautrice di Rebibbia, da quella periferia che Zerocalcare ha raccontato.
Saera
Saera è una cantautrice da cameretta che si muove tra R’n’b e influenze del pop nordico, e che da pochissimo ha pubblicato questo EP di debutto. Un tuffo immersivo in una vita che non ci appartiene, e che la cantautrice ci consente di spiare e di sapere.
Quello di Saera è un mondo delicato a tinte pastello, che fa ballare sul parquet di casa coi calzini, che fa sentire bene nonostante sia impossibile non identificarsi in tanta timidezza e tanta dolore che queste cinque tracce contengono. Questo disco comincia a prendere forma nel 2018, e cresce con l’autrice in questi ultimi anni, mangiandosi le crisi e le relazioni tossiche, le quarantene e le domande esistenziali. Un disco che si dice, in fondo a ragione, che suoni spensierato e drammatico allo stesso tempo: un pugno in pancia che fa male come l’ultimo pianto che avete fatto a diciassette anni, e che non può che non portare il nome stesso della cantautrice Saera.
È bellissimo e romantico quando si ritrova tanta sincerità sfacciata in un disco di debutto, come se Saera volesse dirci “Io sono così che vi piaccia o meno, e andrò avanti a fare musica, prendetemi o lasciatemi andare…”. Un disco da ascoltare a luci spente, per tutte le ragazze e i ragazzi interrotti là fuori, che ci fa sembrare Saera come se fosse stata la nostra migliore amica ai tempi del liceo, quella di cui avevamo conosciuto pensieri e confidenze, e che adesso ritroviamo qui, adulta e lontana. Una bella storia, da ascoltare.
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