Munendo: “La sinergia tra suono e immagine è senza dubbio aumentata”

Fuori su tutte le piattaforme digitali il nuovo singolo di Munendo dal titolo “Mezcal”. Un nuovo capitolo che si aggiunge al percorso dell’atipico cantautore romano: una polaroid sulla difficoltà di assumersi le proprie responsabilità in un rapporto. Qui Munendo sembra chiedersi quante volte ci ritroviamo a giustificare la nostra incapacità di guardare una persona negli occhi incolpando qualcuno o qualcosa.

Noi abbiamo parlato con lui, iniziando come sempre dai suoi tre dischi preferiti.

munendo

Munendo

Quali sono tre dischi che a tuo parere sono stati fondamentali per la tua formazione musicale e per quale motivo?

Premessa. Dovrei elencare 3 dischi di cantautorato pop probabilmente e ce ne sarebbero a decine tra Daniele Silvestri, Lucio Dalla, il primo Antonello Venditti, ma per l’aspetto formativo nominerò 3 album che mi hanno mostrato in modo “estremo” alcune cose, portandomi negli anni poi a integrarle nel mio stile di scrittura, con una certa moderazione.

Elio & Le Storie Tese – Eat The Phikis: Da qui, da tutta la loro carriera, ho imparato a non prendermi eccessivamente sul serio e ancora non ho smesso di ammirare quella folle e geniale capacità di mischiare linguaggi opposti tra loro in modo a volte così fluido e altre volte così brutale. Credo siano un esempio di cosa si può fare con la musica spingendola ai suoi limiti massimi.

Aerosmith – Nine Lives: è una scelta sicuramente singolare, ma gli Aerosmith sono la prima band che mi ha fatto sentire quell’impulso di scrivere ed esibirmi dal vivo nonostante poi il mio stile di scrittura e il mio modo di cantare si sia sviluppato in una direzione molto diversa. L’anima di Steven Tyler in ogni nota della sua voce mi ha sbattuto a terra più di una volta e ancora adesso ha un effetto ipnotico.

Caparezza – Habemus Capa: il primo disco in cui ho avuto la percezione immediata che si potessero usare le parole in modi non convenzionali, come una serie di quadri. Non sono sicuro che ad oggi sia il disco di Caparezza che ascolto più spesso, ma è quello che mi fece scattare un click e mi fece capire quanto etichette come “cantautorato” o “rap” o “pop” possono essere eluse e rielaborate in qualcosa di più complesso da definire.

Quanto Roma e la romanità hanno a che fare con il tuo percorso? In altre parole: Munendo esisterebbe anche lontano da Roma?

Roma è una città che non fa molta fatica a farsi odiare, soprattutto da chi la vive, però poi ti tiene lì e non ti lascia. Sono profondamente legato ai luoghi, forse un po’ meno alla cultura che in certe cose la domina. Roma spesso urla, io urlo molto di rado, su questo non ci troviamo molto. Però la fitta rete sociale, le grandi distanze, i ritmi intensi anche se a volte indolenti hanno sicuramente un ruolo nella mia formazione, probabilmente in un altro posto Munendo sarebbe stato meno curioso, forse meno irrequieto, più statico.

La relazione che racconti in questo tuo nuovo pezzo, è stata o è anche la tua? Hai mai paura di esporti troppo nei tuoi pezzi?

La paura di espormi è una costante, non solamente nella musica. Alla base c’è sicuramente la paranoia che qualcosa di mio possa essere interessante e fruibile solo per me, ma nonostante questo è difficile per me scrivere qualcosa di totalmente estraneo e che non abbia un legame con il mio vissuto.
Mezcal non è una vera e propria storia, ma una situazione e una riflessione in cui penso chiunque si sia trovato almeno una volta nella vita: schivare sguardi, avere difficoltà nell’esprimersi perché ci sono troppe cose in gioco e perché il livello della comunicazione diventa estremamente profondo.

Ci racconti la connessione tra copertina e brano?

Devo dire che la sinergia tra suono e immagine è senza dubbio aumentata nelle ultime release in cui mi sto avvalendo della collaborazione con Studio Cemento. La continuità e la connessione stanno nel mood un po’ retrò, ma allo stesso tempo contemporaneo. E’ un equilibrio delicato da mantenere sia musicalmente che esteticamente perché ci vuole veramente poco per scivolare in un sound o un’immagine poco credibile. E’ un lavoro che mi sta piacendo perché anche se nel mio mondo ideale l’impatto visivo ha un peso molto inferiore al contenuto musicale devo dire che essere coerente da questo punto di vista aiuta parecchio a veicolare il messaggio o semplicemente il mood.

Ultima domanda: se fossi un drink quale saresti, e perchè?

Probabilmente un “banale” Aperol Spritz, ma solo perché personalmente gli attribuisco una doppia valenza. Fino al tramonto è quasi imbattibile, appena si fa buio diventa inutile. Non ho questa divisione così netta o comunque non la distribuisco tra giorno e notte, ma mi capita spesso di oscillare tra estremi molto distanti tra loro, tra un brano estremamente melodico e una dissonanza totale, tra un testo romantico e uno aggressivo.

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