Fuori dal 27 ottobre “Conchiglia”, il nuovo singolo di Toru. Una ragazza in piedi di fronte al mare, la sua testa come una conchiglia in cui risuonano echi dei propri pensieri e un grido lontano che, a un tratto, richiama la sua attenzione.
Toru – Conchiglia
Conchiglia, come tu stesso dici, nasce da una poesia che ti è stata regalata su cui poi hai cucito il vestito sonoro perfetto. Ci puoi raccontare più nel dettaglio la storia dietro tutto questo?
A dire il vero, preferisco di no. Ci sono delle storie e momenti che appartengono solo a chi li ha vissuti in prima persona e credo sia giusto così. Senza svelare troppo a riguardo, mi voglio limitare a dire che è stato fondamentale l’incontro con
questa persona in quel preciso momento della mia vita e l’aver creato, quasi in maniera involontaria, qualcosa di totalmente nuovo e inaspettato si è rivelato essere estremamente educativo. Gli incontri possono essere di vario tipo, a volte onde che si infrangono, a volte incidenti violenti. Ma in ogni caso sono la cosa più importante che possiamo sperimentare in quanto esseri umani.
Quale è stata la sfida maggiore incontrata durante la realizzazione del brano?
A differenza degli altri brani del prossimo disco, Conchiglia è stato l’unico caso in cui ho deciso di riprendere in mano il mix e stravolgerlo. Il lavoro che avevamo fatto con Nicola Baronti (che ha curato la produzione di tutto l’album) era di
per sé ottimo, soprattutto per quanto riguarda il ruolo del pianoforte.
Col tempo però, suonando anche il brano dal vivo in qualche occasione, ho iniziato a coltivare l’idea che la canzone avesse bisogno di un approccio più intimo. Mi sono così rivolto ad Andrea Ciacchini, il produttore con cui ho lavorato l’anno scorso per le mie ultime pubblicazioni, per affidargli un nuovo mix del brano. Devo dire che Andrea ha saputo egregiamente interpretare il mio pensiero riuscendo a elaborare un suono del tutto nuovo e più avvolgente, che mi ha convinto pienamente.
Stiamo vivendo un’era, musicalmente parlando, nella quale il concetto di album è sparito e imperversa la necessità di sfornare singoli, un po’ come si faceva negli anni ’60. Tu, però, non definisci “Conchiglia” un singolo come lo si intende abitualmente, ma una “semplice canzone”. Quale è il sottile confine tra le due cose?
Io sono affetto da anacronismo cronico, per cui non mi riconosco in questa idea che mortifica l’album in quanto concetto superato. Non l’accetto e non sono d’accordo a livello artistico. Credo anzi che sia limitante e diseducativo per gli ascoltatori essere nutriti con tipologie fast food musicale che non stimolano un’attenzione più profonda verso una narrazione più elaborata.
Essendo cresciuto a pane e Pink Floyd, non posso non vederla in questo modo. Al giorno d’oggi c’è questa tendenza continua a voler fare qualcosa che funziona, il “singolo” accattivante che abbia quello specifico suono di rullante, quella specifica struttura, quella specifica frase a effetto. Tutto ciò è estremamente noioso, non capisco proprio possa risultare sopportabile ai più. In questo senso credo che Conchiglia sia distante da questo tipo di approccio.
È un brano molto disteso, intimo e assolutamente poco “Catchy” (parola che ritengo terrificante). Ma è comunque una canzone che, come si capire in seguito, è inserita in un contesto più ampio che ne fortifica il significato.
Forse la verità, al di là di tutto, è che non credo nel “singolo” ma nella “pluralità” che è un concetto decisamente più complesso.
A proposito di album, il tuo album “Domani” è uscito a febbraio 2020, quasi quattro anni fa. Possiamo considerare “Conchiglia” un preludio a un nuovo lavoro?
Lo è a tutti gli effetti. È effettivamente passato molto (forse troppo) tempo da “Domani”, ma nel mentre ho fatto altre cose, come per esempio far uscire un libro di racconti, due ep e un doppio singolo chiamato “Una Giornata Particolare/Zabriskie Point”, omaggio a un certo tipo di cinema che amo.
Il disco nuovo uscirà in primavera e sono molto felice di ciò che è. Credo sia a tutti gli effetti un’anomalia nel mercato discografico italiano. Sono piuttosto convinto che non verrà compresa in quanto tale, ma non me ne importa assolutamente niente.
Hai intrapreso la carriera solista nel 2019. Ora siamo sul finire del 2023: dopo quattro anni possiamo delineare un primo “responso”. Come è stato passare da “pensare come gruppo” a “pensare come artista solista”? E, soprattutto, come è stato abituarsi a pensare e pensarsi come artista solista? (domanda che fa invidia a Marzullo, lo so, ndr.)
Francamente non ho notato un’eccessiva differenza. Per un paio di motivi fondamentali. Il primo è che anche nell’esperienza precedente ero io a tener le redini e a investire il massimo dell’impegno richiesto e a ritrovarmi dunque, molte volte, a fare gran parte del lavoro da solo.
La seconda è che, avendo avuto una sfacciata fortuna , da quando ho iniziato il progetto solista ho trovato alcuni musicisti che mi hanno aiutato in una maniera decisamente fondamentale. Non smetterò mai di ringraziare Giovanni Ranuzzi e Giulio Beneforti che mi hanno seguito in moltissimi concerti e non solo.
Non nego che questo progetto sia solista e che io abbia gran parte delle responsabilità e dei doveri (come è giusto che sia), ma sarebbe molto più difficile senza persone come loro o come Leonardo Bernini, Mattia Santocori e Valentina Salvi di Pulp Dischi. Sono persone a cui devo molto e che mi ricordano, ancora una volta, l’importanza dell’incontro.
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