È uscito il 17 novembre il nuovo album del progetto Freddo. Un disco che prova a dare una personalissima definizione a una parola che non esiste: “Sinestetica”. Freddo l’ha infatti inventata per dare una forma a quella che gli piace immaginare come “l’arte della sinestesia”. La sinestesia è tecnicamente la capacità di percepire intrecciando i sensi, un’associazione espressiva tra parole pertinenti a diverse sfere sensoriali.
Siamo partiti dai suoi tre dischi preferiti come sempre.
Freddo intervista
Quali sono tre dischi che a tuo parere sono stati fondamentali per la tua formazione musicale? E per quale motivo?
Animals dei Pink Floyd e’ il disco piu’ importante della mia vita, dentro c’e’ la maggior parte di quello che mi emoziona: un concept di denuncia e osservazione sociale attualissimo legato tra l’altro alla letteratura (La Fattoria degli Animali di George Orwell). Un percorso sonoro che si rincorre, si entra e si esce nei temi come un flusso unico. Ci sono poi trovate ed arrangiamenti che sono firme iconiche della band piu’ elegante del rock. Nella produzione forse ci troviamo il suono di chitarra acustica e di rullante tra i piu’ belli mai registrati. E per finire la grafica: la copertina di Hipgnosis con un maiale gonfiabile tra le torri della ex centrale di Battersea a sud di Londra.. ricordo ancora la prima volta che l’ho vista dal vivo dopo aver praticamente imparato il disco a memoria da ragazzino.. Grandi emozioni.
La Voce del Padrone di Franco Battiato. Ossia il disco italiano piu moderno di sempre. Ho impresso chiaro quando lo ascoltai la prima volta che avevo si e no 10 anni e l’estate dal finestrino dell’auto mi si e’ appiccicata addosso per sempre. In quei 9 brani c’e’ l’unione perfetta di “elettronica” e suoni analogici, la co-produzione di Radius della Formula Tre che qui e’ stato un maestro di minimalismo concreto. E poi il planare dentro una atmosfera che e’ ancora attualissima e irripetibile: solo il genio ricercatore di Battiato poteva arrivare a quella vetta di riferimenti, approfondimenti tematici, top lines immortali e un successo pop inaspettato con musica non semplice. Gigantesco.
Discovery, il secondo album dei Daft Punk. E’ con questo disco che ho imparato a produrre musica, o meglio ho capito che si puo’ fare musica con poco ma pensando in grande. Da li ho iniziato a campionare, a indagare le parti, gli arrangiamenti, l’equalizzazione e le cellule emotive che compongono un brano. Dopo quel disco non ho piu’ “sentito” la musica allo stesso modo e mi ha aiutato moltissmo a sviluppare il processo creativo che utilizzo ancora oggi. Game changer.
Ci racconti un po’ delle tue influenze che partono dall’alternative rock? Quanto sono state importanti per questo tuo percorso solista?
Partiamo dicendo che non mi piacciono molto i “generi” musicali, categorizzare e’ una fatica inutile. Ma se vogliamo andare nello specifico vivendo a londra dal 2002 non so granche’ dell’alternative italiano degli ultimi 20 anni. Sono legato magari all’onda dark anni ‘80 dei primi LITFIBA, dei Neon e dei Diaframma. E poi sicuramente alla colonna portante che sono stati i CCCP/CSI con quella ricerca testuale unica e inarrivabile di Giovanni Lindo Ferretti. Ma cio che mi ha invece influenzato fortemente come musicista, come batterista che e’ stato a lungo il mio lavoro, sono le band internazionali anni ‘90.. dal trio di Kurt Cobain ai Verve di Ashcroft.
Entrambe rock ma estremamente beatles-pop nelle composizione delle canzoni. Il discorso e’ che anche quando usi linguaggio criptico e il distorsore una canzone ha le sue regole che la fa volare lontano. Rispettare quegli stilemi aiuta sia a scriverle che a suonare bene quelle degli altri. Comunque mentre ti rispondo sto riflettendo..a dire il vero se dovessi dare 1 nome su tutti di “alternative” che mi sprona ogni giorno a fare musica piu’ ricercata e’ sicuramente Radiohead. Peccato che Thom Yorke incontrato un paio di volte in un vecchio negozio di dischi a Soho si sia rifiutato ogni volta di prendere il mano il cd della rock band con cui suonavo allora. Forse diventando rockstar ci si scorda cosa significa essere emergenti, sconosciuti, persino alternative..?
Scrivi che vorresti che questo album servisse anche a risvegliare i sensi di chi ascolta? Trovi che siamo in un periodo “addormentato”? Quale potrebbe essere una soluzione per questo momento di torpore?
Piu’ che addormentato siamo in un periodo confuso e nella confusione non c’e’ ne’ calma ne’ chiarezza. I sensi sono il mezzo che ci permette di toccare la vita. Se ci si allena ad intrecciarli facendoli fluire si scoprira’ un fenomeno di contemporaneo distacco e presenza che ci rende credo piu’ sereni. Io ho imparato molto di me e degli altri attraverso la meditazione ad esempio, usata spesso per calmare un caos interiore incomprensibile. E la cosa magnifica e’ che cercando di meditare le prime volte si creava ancora piu caos non sapendo cosa fare di fronte a pensieri indomabili. Ecco imparare a spegnere il cervello ignorando il suo turbinio e rimanendo fermi in un luogo e in una posizione, concentrandosi sul proprio respiro, e’ stata una pratica che man mano mi ha fatto riappropriare dei sensi in modo diverso.
Queste canzoni sono scritte cosi, pensando all’esclusione della ragione, dell’analisi e del giudizio, ma utilizzando le parole semplicemente come flusso di coscienza che mette i sensi al primo posto. Apro il disco con la frase “Orde impersonali di piccole ragioni e necessita’” per descrivere la corsa del piccolo uomo Marcovaldo calviniano che e’ preso da minuzie ed ignora i suoi sogni… poi suggerisco – a me stesso per primo – di staccarsi dai social media e dalla corsa delle grandi citta’ (“slow down and find your ground” in Radio Distrazione) e chiudo l’album con la frase che preferisco: “..e poi non dire nulla che non possa essere detta con un bacio”.
Ho risposto?
Quanto hai lavorato anche sulla produzione? E quanto invece hai saputo affidarti ad altri? Come scegli chi lavora alla tua musica?
I miei dischi li faccio da solo come un artigiano. Sto chiuso a bottega e tocco e ritocco il legno fino a che non prende la forma che mi sta bene. Ma confesso che il prossimo lavoro vorrei farlo diversamente per uscire fuiri da una zona di confort. A fine Novembre sono staro al mio primo Milano Music Week e lo scambio, le conoscenze, l’energia di tanti artisti mi ha entusiasmato. Mi piacerebbe iniziare a collaborare con qualcuno che stimo e che apprezza cio che faccio e vediamo dove mi porta il vento.
Ultima domanda, se fossi un drink quale saresti, e perchè?
Ah sicuramente un Negroni: c’e’ dentro il Campari, il Martini e l’arancia, che e’ tutta roba super italiana… poi pero’ quel tocco di Gin che e’ un timbro diciamo anglosassone che mi rappresenta e di cui non potrei fare a meno. E poi tanto tanto ghiaccio: il Negroni va bevuto freddo.. 😉
SCOPRI IL DISCO:
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