“DUES” è il nuovo album degli I Shot a Man. Fuori giovedì 29 febbraio 2024, concepito tra i blues urbani del nostro secolo, trascinato per le rive del Mississippi fino alle paludi della Louisiana.
Una raccolta, un disco antologico, l’amore per le figlie e i figli del blues, per le sue radici e per le sue declinazioni più moderne. È un album da sfogliare, una raccolta di foto, storie di persone diverse vissute in luoghi e momenti diversi. Come se ogni brano fosse un piccolo film, alla ricerca di un nuovo blues, come se fosse sempre stato lì, come se nascesse oggi.
I Shot a Man
Che cosa spinge tre ragazzi di Torino ad avvicinarsi alla musica e alla cultura blues?
Il blues si porta dietro la fama immeritata di essere una musica banale. È una delle prime musiche che si strimpellano, quando si prende uno strumento in mano, e questo contribuisce a renderla antipatica in breve tempo. La verità è che ci vuole una vita per imparare a far suonare grandiosa una musica così semplice, dall’armonia così scarna, dalla scansione ritmica così ripetitiva. Eppure in queste ripetizioni, in questa struttura ricorrente, c’è una profondità insondabile. E solo chi sente i blues può capirlo e, forse, suonarlo.
Che cosa rappresenta per voi l’album “Dues”?
È il nostro secondo album in studio. Gli vogliamo bene come un secondo figlio, e cioè tantissimo, e in più con la sorpresa di amarlo almeno quanto il primo. Abbiamo raccolto tante esperienze musicali diverse, tante suggestioni e influenze che ci appassionano, cercando di rielaborare tutto sotto una luce nuova. Il risultato è un album con tante sfaccettature, mondi sonori apparentemente lontani ma legati indissolubilmente al blues, alle sue origini e ai suoi antenati.
Parlateci delle vostre esperienze negli USA. Cosa è cambiato per voi al ritorno?
Soprattutto il modo di intendere il live. Negli USA abbiamo trovato che il pubblico vive la musica dal vivo in modo molto diverso. C’è una grande partecipazione, c’è attenzione e grande rispetto per chiunque salga sul palco. È un po’ come se premiassero innanzitutto il coraggio di salire sul palco. Dall’altra parte, questo dà al musicista la responsabilità di uno spettacolo. Devi essere in grado di intrattenere il pubblico, devi avere una buona presenza sul palco, e se non dai il massimo sei il primo ad accorgertene. C’è qualcuno che è lì per ascoltarti, e devi prendertene cura.
Quali sono tre dischi che sono stati fondamentali per la vostra formazione musicale e perchè?
Harvest, Neil Young
È un album perfetto. Un album di canzoni che sono fotografie. Scarno, ispirato e profondo. È come vorremmo fosse la nostra musica, prima di tutto, come una stanza senza pareti.
From the cradle, Eric Clapton
Clapton è stato il primo e il più grande divulgatore del blues. Senza Clapton, Keith Richards e il loro amore per questa musica il mondo non l’avrebbe mai riscoperta. Quando abbiamo ascoltato From the cradle non avevamo la minima idea che un giorno avremmo messo su una blues band, ma forse è anche colpa sua.
The Number of the Beast, Iron Maiden
Siamo cresciuti così. Nei quartieri popolari delle nostre città, con una musica che sembrava dare un senso a tutto. E le dobbiamo tantissimo.
Ultima domanda: se foste un drink, quale sareste e perchè?
Non so… Un Old Fashioned?
Ci piacciono i bourbon, dopotutto e il disco si apre con la frase “I’m an old fashioned man”.
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