Enrico Brion: “la lettura di Calvino ha sempre messo in risonanza le mie corde”

“La scala capovolta” è il nuovo disco del compositore veneziano Enrico Brion. In uscita il 20 maggio su tutte le piattaforme digitali, distribuito dall’Angapp Music. Per l’occasione ci abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

Enrico Brion intervista

Enrico Brion intervista

Non ci capitano spesso artisti legati al jazz. Come ti sei avvicinato alla musica e in particolare a questo genere musicale?

Ho iniziato a otto anni con lezioni di pianoforte private, per le quali ringrazierò sempre i miei genitori. Non ero per nulla un bambino studioso, però è stato un imprinting.
Ho incontrato il jazz con i dischi che mi regalava un cugino. Erano gli anni ’80 e si trattava per lo più di fusion. Ho scoperto musicisti come Corea e Metheny e da lì, a ritroso, sono arrivato alle radici. Negli anni ‘90, in una scuola di musica a Venezia mi iscrissi ai corsi di pianoforte jazz con Paolo Birro e di arrangiamento con Marcello Tonolo. Soprattutto quest’ultimo corso mi appassionò moltissimo. Infatti iniziai ad arrangiare e a scrivere musica e da allora non mi sono più fermato.

Poi a Trieste ho studiato composizione con Fabio Nieder, una delle eccellenze della composizione contemporanea. Lì ho scoperto nuovi mondi musicali. E ho cambiato il mio approccio alla musica e alla composizione.
Diciamo che la mia è stata una formazione trasversale e non sono mai stato un vero jazzista, o un jazzista puro, sempre che questa etichetta voglia dire qualcosa. La mia è stata fin da subito una musica fatta di contaminazioni: jazz e conduction (improvvisazione orchestrale); jazz e contemporanea (sbling sblang scrasch, anche quella roba lì, sì); jazz e ‘900. Una contaminazione che credo di poter dire non sia mai stata forzata, ma sempre un’onesta sintesi dei miei ascolti e delle mie esperienze musicali. Bella o brutta non posso dirlo io, però spontanea sì.

Hai pubblicato da poco il tuo disco “La scala capovolta” ispirato a Le Cosmicomiche di Italo Calvino, come è nato il disco?

È nato all’improvviso, una mattina di marzo del 2023. Ero un po’ giù di morale in quel periodo, mi mancavano gli stimoli creativi. Ma quel giorno realizzai che eravamo entrati nell’anno del centenario della nascita di uno dei miei riferimenti letterari e decisi che dovevo rendergli omaggio. Immediatamente mi misi a lavorare, buttai giù su carta un organico che man mano che scrivevo si arricchiva di strumenti (ah, qui ci vorrebbe il flicorno… e qui il flauto…). Scrissi così il primo pezzo per decimino (Capriole per la Luna) senza sapere cosa ne avrei fatto.

A metà giugno avevo finito di scrivere l’intero album e stavo già cercando i musicisti e organizzando prove e registrazione. Parte di questa musica, poi, l’avrei usata per uno spettacolo di teatro danza che ha debuttato a fine ottobre 2023. Insomma, per il resto dell’anno questo lavoro mi ha assorbito in modo quasi totalizzante, dandomi nuova energia. L’umore è salito e non vedo l’ora di buttarmi nel prossimo progetto. Perciò, sono ulteriormente riconoscente a Italo Calvino.

Mentre leggevi lo scrittore hai sentito l’ispirazione oppure è avvenuto il contrario?

Bè, la lettura di Calvino ha sempre messo in risonanza le mie corde, stimolandomi creativamente. Poi, sa, il discorso dell’ispirazione può essere frainteso. Intendo dire che ogni disciplina ha le sue regole e le sue ragioni. Se, per esempio, voglio evocare un personaggio o una scena, dovrò sì individuare alcune caratteristiche e tradurle in elementi musicali, come il timbro (eclatanti sono gli esempi in Pierino e il lupo, dove il flauto fa l’uccellino, il gatto è un sinuoso clarinetto, il fagotto rappresenta il nonno) o il tessuto armonico (privo di tensioni – pensiamo a Il mattino di Grieg – o, al contrario, pieno di tensioni) per dare il senso all’ambientazione psicologica, ma la traduzione da un campo all’altro non è mai didascalica, segue le ragioni di quell’ambito. La musica prende la sua strada e si svincola. I racconti per me sono stati come i motori di propulsione dei razzi spaziali (mi piace rievocare il cosmo) di cui poi il razzo stesso si libera per proseguire la corsa.

In verità, è anche successo che abbia scritto un brano indipendentemente dalle suggestioni letterarie. Anzi, ho anche ripescato un paio di composizioni (Al largo di Mercurio e I dinosauri!) che avevo già scritto e le ho arrangiate per questo organico. Calzavano a pennello!

Hai un’istruzione davvero di rilievo, qual è stata però la scuola o l’evento che più di tutti ti ha fatto maturare come artista?

Mah, non lo so. Spesso mi sento in difetto e mi riprometto di approfondire le conoscenze. Ad ogni modo, se ripercorro le tappe del mio percorso formativo, penso che tutte abbiano avuto una grande importanza, anche perché in qualche modo l’una è stata la premessa all’altra. Il primo corso di arrangiamento di cui dicevo è stato davvero entusiasmante, era un’esperienza nuova, di scoperta (la scoperta del jazz!), ed è stata una scintilla. Poi, ripenso al maestro Fabio Nieder, che è diventato un amico, il quale mi ha dato un’altra prospettiva. È stata una vera virata nel mio approccio compositivo. Anche in questo caso ho scoperto un mondo nuovo, la musica contemporanea, ma anche molti autori ‘classici’ del ‘900 che poi hanno avuto una grande influenza su di me. Infine ho incontrato il maestro Massimo Morganti, eccelso trombonista e arrangiatore jazz, e in qualche modo è stato per me un ritorno alle origini e alla musica tematica.

Tutti questi incontri hanno fatto di me quello che sono e non riesco a numerarli per importanza.
Però sì, c’è un fattore che più di tutti e, man mano con maggiore rilevanza, ha coeso tutte queste esperienze in una cosa sola. Un fattore inesorabile: l’età.

Hai scritto musica anche per il lungometraggio “E oggi come va?”, come è stata quest’esperienza?

Molto bella e gratificante. Anche perché è filato tutto liscio da subito. A parte una scena che ho provato a scrivere più volte finché ho capito che non aveva bisogno di musica scritta, ma di suoni da costruire e montare in studio, tutte le altre hanno trovato il favore dei committenti, Nadine Birghoffer e Adriano Iurissevich, i quali anzi si sono dimostrati entusiasti del mio lavoro.

Io mi aspettavo di dover mediare fra le loro esigenze e le mie idee, magari di dovermi scontrare, invece è bastato giusto qualche piccolo ritocco dalle prime stesure per trovare la versione finale. Proprio qualche giorno fa uno degli sceneggiatori mi ha confidato che si sono trovati molto bene con me perché mi sono messo in ascolto, a servizio del film e delle loro idee. In realtà (questo lo confesso qui, ma non l’ho detto a lui), io ho fatto di testa mia, ho seguito il mio sentire. Evidentemente, collimava con il loro. Se così non fosse stato, credo che avrei fatto molto fatica, perché, quando sono sicuro delle mie idee, fatico ad arrendermi e modificarle. Questo è un limite, se devi lavorare per qualcun altro. Se capiteranno altre occasioni, è possibile che dovrò farci i conti. In realtà, anche ora sto lavorando per un cantautore. Ma anche in questo caso sta andando benissimo e lui è felice dei miei arrangiamenti. Non potrà durare per sempre, però.

È stata molto bella anche la fase della registrazione in studio con i musicisti.
Non vedo l’ora di vedere il film, che ancora non è uscito. 

Ora una domanda di rito: se dovessi descrivere la tua musica con una bevanda quale sarebbe e perché?

Oddio, non lo so… ma da buon veneto spero sia alcolica!

 
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