La musica ambientale si è trasformata incessantemente nei decenni, creando paesaggi sonori e meditativi che hanno influenzato artisti come Brian Eno. Il genere si caratterizza per esplorare numerose sfumature sonore, che vanno oltre la semplice melodia, trasformandosi in una esperienza sensoriale che coinvolge l’ascoltatore su più livelli.
La peculiarità della cosiddetta “musica d’ambiente” è quella di dare maggior rilevanza a tutto ciò che non sia ritmico, o melodico. Viene in questo modo scardinato il concetto di musica così come lo conosciamo in Occidente. E’ l’atmosfera a divenire il centro attorno cui ruotano le composizioni. L’ascoltatore è catturato in un ascolto in cui è egli stesso il protagonista: può scegliere se percepire tali sound immedesimandosi in essi, oppure se farli rimanere in sottofondo.
Brian Eno: il pioniere della musica ambientale
Brian Eno è il nome che più facilmente viene accostato al concept di musica ambientale. Considerato uno dei fondatori del genere, Eno ha trasformato il termine “ambient” in una vera esperienza immersiva.
Nella sua discografia è di grande rilievo l’album Ambient 1: Music for Airports (1978) , dove Eno sviluppa una concezione alternativa della “musica da sfondo”. Il primo disco di quella che sarà poi una lunga serie è permeato da continui loop di suoni elettronici, ambientali e da registrazioni di rumori. Questi elementi vengono utilizzati con lo scopo di creare un allentamento dalle tensioni piuttosto comuni in un terminal aeroportuale. La lunghezza delle note trasmette tranquillità, creando una proposta sonora che non impone un’attenzione costante all’ascoltatore, ma scivola piuttosto nel suo inconscio.
E’ qui l’approccio geniale che lo ha reso unico nel suo genere.
Brian Eno ha sempre concepito la musica come mezzo per influenzare e modificare lo stato d’animo di chi ascolta, senza l’aspettativa di una reazione emotiva che sia predefinita. L’innovazione è sì utilizzare apparecchi elettronici considerati moderni per l’epoca, ma soprattutto cercare sfumature che siano “fisiche” ed al contempo eteree.
Eno è stato infatti influenzato da una vasta gamma di suoni, dai sintetizzatori analogici agli strumenti acustici; l’utilizzo di tecniche- come i tape loops e la manipolazione sonora- gli ha permesso di creare una dimensione complessa emotivamente. Ed è proprio tra la serenità e l’inquietudine suscitata che Eno ha saputo trattare il suono, rendendolo materia viva e non più semplice strumento.
Apollo: Atmospheres and Soundtracks (1983)
Questo album, realizzato insieme a Roger Eno e Daniel Lanois, è l’emblema di come Brian Eno abbia saputo creare atmosfere ambientali complesse e talvolta angoscianti.
In particolare, alcuni brani come “An Ending (Ascent)” e “The Secret Place”, ma anche “Under stars” hanno la capacità di giocare con la dissonanza e la modulazione timbrica. Si crea un ambiente sonoro che, pur essendo elettronico, possiede sonorità delicate e “siderali” , grazie ai sintetizzatori che evocano sensazioni di profondità e mistero, di vastità e sospensione.
L’album ha anche una qualità cinematografica, pur non essendo destinato ad un film. Eno, infatti, è riuscito a dipingere immagini paesaggistiche lunari ed interstellari (come richiama la copertina dell’album) . In effetti, considerando che sulla Luna la forza di gravità è molto bassa, i brani restituiscono proprio quel fluttuare nel vuoto, facendo percepire movimento e inafferrabilità.
I sound ricreati nell’album non sono molto lontani da quelli che vengono creati da un affascinante quanto inquietante strumento: l’Onde Martenot.
Le Onde Martenot nella musica ambientale
La musica elettronica ha visto nel corso del tempo un uso sempre nuovo e crescente di strumenti e apparecchiature. Ma accanto a questa ricerca, si fa strada anche un’inaspettata riscoperta di strumenti del passato. Ci si guarda indietro mentre il resto del mondo va avanti. E’ questo che hanno messo in atto alcuni musicisti contemporanei (tra cui lo stesso Brian Eno), utilizzando l’ Onde Martenot, strumento inventato nella terza decade del Novecento dal francese Maurice Martenot.
Il suono dello strumento si ispira fortemente al theremin (il cosiddetto “eterofono”), ma gode rispetto a questo di maggiore variabilità timbrica, possedendo un’estensione di 6 ottave. Di fatto, è un precursore del sintetizzatore.
L’Onde Martenot è costituito da una tastiera con una particolare corda metallica mobile che può essere spostata: è proprio questa caratteristica a fornire una variazione tonale, e permettere in maniera delicata di passare dai suoni più emotivi e sognanti a quelli più metallici. Grazie alla variabilità in modulazione e grazie alla sua qualità espressiva, lo strumento diviene subito rilevante per la produzione di sound ambientali. Le note si rincorrono e si trasformano, evocando sensazioni sottili e complesse.
Il contributo nella musica contemporanea
L’Onde Martenot diviene così apprezzato da numerosi “ondisti”, dalla musica classica a quella elettronica. Tra questi, il compositore Olivier Messiaen, che lo ha inserito nelle sue composizioni per evocare immagini sonore profonde e potenti.
Ma sono anche altri gli artisti che hanno potuto apprezzare la capacità di questo strumento: tra i più moderni, i Radiohead e i Daft Punk.
Non è un caso che Jonny Greenwood, polistrumentista e chitarrista dei Radiohead, abbia utilizzato l’Onde Martenot per contribuire all’intensità di alcune tracce in “Kid A”, l’album che spezza in due la carriera della band.
“Prendete Jonny: a un certo punto si è messo a suonare le Onde Martenot praticamente ovunque! Non riuscivamo a fermarlo! Abbiamo dovuto supplicarlo di riprendere in mano la chitarra in Morning Bell“
Thom Yorke alla rivista “The Wire”
Pur non avendo integrato direttamente le Onde Martenot nel suo lavoro, anche le composizioni di Brian Eno si avvicinano in molte occasioni a quelle qualità sonore fluttuanti. Infatti, in Brian Eno ricorre costantemente la capacità di manipolare e modulare il suono attraverso campionamenti software e altri strumenti elettronici. L’approccio alla musica ambientale, che cerca di evocare sensazioni complesse e di sfumare tra tranquillità e inquietudine, ha alcune affinità con la natura sfuggente e drammatica delle Onde Martenot.
Nel contesto della musica ambientale lo strumento trova infatti il suo posto ideale. La sua presenza in brani di tipo ambientale non è mai invadente, piuttosto contribuisce a creare un’atmosfera sospesa e fluida, con note tanto volatili quanto coinvolgenti.
Le Onde Martenot negli anni 2000: Kid A dei Radiohead
“Ciò che abbiamo fatto è stato distruggere il gruppo per poi ricostruirlo con gli stessi cinque componenti”
Se per molti l’album del nuovo millennio firmato Radiohead fu un “suicidio commerciale “, per altri fu un vero e proprio punto di svolta (o comunque di non ritorno). Un cambiamento radicale e al contempo geniale, rispetto alle sonorità alternative precedenti. Sperimentazione elettronica, suoni distorti, atmosfere minimaliste: un ottimo modo per reinventarsi e sopravvivere allo tsunami di popolarità che aveva travolto la band sul finire degli anni ’90.
L’album è più elettronico che ambientale, ma sono molti i brani in cui sono state utilizzate le Onde Martenot per ricreare le stesse caratteristiche del genere. Il senso del disagio e della sospensione temporale permea l’intero disco, spesso attraverso l’uso di archi e cluster sonori apparentemente “infiniti”. Le tracce sono intrise da un flusso continuo di suoni, creando un’esperienza di alienazione e disconnessione dalla realtà. Questo effetto è sicuramente accentuato dai continui giochi di tagli e rimontaggi. L’ascoltatore si sente fuori dal tempo.
Merita menzione “Motion Picture Soundtrack” , brano di chiusura dell’album, in cui armonia e melodia creano assieme una sensazione di “stanchezza”, amplificata dall’arpa. Ed ecco che le Onde Martenot affiancano la voce di Yorke, creando una dimensione quasi metafisica, una luce fredda ed inquietante. Ancora una volta: distopia, realtà distorta. La potenza emotiva di questo brano risiede nell’uso di pochi strumenti, ridotti all’essenziale, ma di grande impatto. Le Onde Martenot si stagliano tra le cadenze jazz del brano (che rimanda agli anni ’40), e fanno quasi tutto il lavoro, con la loro presenza affascinante.
Kid A è anche musica ambientale: Treefingers
Tra le varie tracce di Kid A, Treefingers è sicuramente la più “strana” , forse nell’intera produzione dei Radiohead. Non solo un semplice interludio (non a caso la posizione centrale dell’album), ma un ottimo esempio di composizione ambientale e di meditazione sonora profonda.
La traccia, costruita su una chitarra lenta, non segue una struttura tradizionale. Non ci sono melodie distintive nè riff riconoscibili. Ci sono sintetizzatori e campioni, con suoni che sembrano sfumare l’uno nell’altro creando un’atmosfera eterea ed evanescente. A dare questa sensazione è la lentezza del sound creato dalla chitarra, unito alla conseguente separazione degli armonici. Così divengono udibili sullo sfondo dei piccoli rumori (qua e là cenni di altre chitarre, o di pianoforte) che risuonano assieme a questa scia. E’ come se vi fossero due mondi in parallelo (oltre a quello reale, uno immaginario sul background).
Un processo di sdoppiamento, anche questo non casuale, data la discografia e l’evoluzione della band fino a quel punto.
Tre minuti e mezzo di brano che evocano solitudine, riflessione e calma: un perfetto esempio di come i Radiohead abbiano incorporato tra i loro lavori anche la musica ambientale. Ma sicuramente sono stati i lavori di Brian Eno e degli Aphex Twin ad ispirare l’atmosfera densa del brano.
In sintesi
La musica ambientale è un concept che si distacca dal semplice ascolto, ma diventa un modo per percepire in maniera differente la realtà, se ci si immerge in essa. Da Brian Eno, considerato punto di riferimento del genere, ai più recenti Daft Punk, passando per i Radiohead, la musica ambientale è diventata oggi una delle forme più intriganti per la musica contemporanea. Sempre più spesso viene utilizzata nei film e spettacoli televisivi, con il fine di creare immagini sonore adatte al contesto.
Non solo. Al giorno d’oggi il genere continua ad espandersi e aprire la strada alla sperimentazione. Sono molti i sottogeneri che si sono creati: per citarne alcuni, la dark ambient, e la dub techno.
I canoni di ascolto vengono di fatto sempre più reinventati, trasformando il modo in cui percepiamo non solo la musica, ma anche l’ambiente che ci circonda.
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