“Quel che resta del mare mosso” è l’album di debutto di Antonello D’Angeli. Il cantautore sabino si è raccontato a Brainstorming Magazine, parlando di ciò che lo ha ispirato e dei suoi progetti per il futuro.
Cominciamo dalla copertina: è una foto di una spiaggia islandese, dai colori neutri ma velatamente tristi. Come la associ all’album?
All’inizio non avevo una chiara idea su cosa poter mettere come copertina dell’album. Non era mia intenzione abbinare qualcosa che riguardasse il mare. Non ho un bel rapporto con la sabbia, anche se poi il mare stesso è presente molte volte come figura nelle mie canzoni. Ero piuttosto alla ricerca di qualcosa che potesse collegarsi con le varie tracce e al contempo dare una chiave di lettura all’ascoltatore.
Ho chiesto consiglio a Daniele Frasca, fotografo, nonché mio amico e collega (sono un insegnante di matematica e fisica al liceo). Gli ho chiesto di suggerirmi qualcosa che rappresentasse “un caos interiore che poi si calma”. Lui, avendo ascoltato in anteprima l’album, mi ha consigliato questa bella foto che rimanda alle emozioni provate durante l’ascolto del disco, ma soprattutto al titolo.
Tuttavia, appena ho visto la foto io ho percepito molto di più: mi hanno colpito questo pezzo di ghiaccio in primo piano, i colori, la persona sfocata sullo sfondo.
Una foto simbolica!
Di fatto sì: il protagonista è il pezzo di ghiaccio, che rappresenta ciò che ho lasciato addietro, dopo le tante esperienze avute -sia positive che negative -che mi hanno fatto crescere.
Il ghiaccio è posto in primo piano, perché ritengo sia necessario sapere da dove proveniamo, e chi eravamo, prima di conoscere chi siamo oggi. L’uomo di spalle che si allontana (da notare che è quasi fuori la visuale della foto), infatti, potrei essere io.
Il contorno di calma piatta e neutra, assieme ai colori di stasi, rappresenta invece la distanza che penso di avere dal me stesso di sei anni fa, quando iniziai a scrivere.
E’ un po’ come se ci si sentisse tranquilli e consapevoli di ciò che ci si lascia alle spalle. Direi insomma che siamo tutti proiettati verso un Futuro Presente!
Interessante! Pensi che ci sia un filo conduttore che unisce le 11 canzoni del disco?
Il filo conduttore non è voluto, o meglio, si è creato indirettamente già dal primo momento della scrittura.
Ho detto che ho iniziato a scrivere per necessità, ed è cosa vera: a 25/26 anni vivevo una sensazione di insoddisfazione verso alcuni aspetti della mia vita, cosa molto comune a quell’età. Mi pesava il fatto di non avere ancora una laurea, ed in molti mi chiedevano se avessi in mente un percorso da solista, nonostante fossi già impegnato con alcuni progetti musicali. In quel periodo, ho vissuto delle esperienze che mi hanno lasciato dei traumi. Avevo tante emozioni dentro, ma non avevo gli strumenti per tirarle fuori. Ho seguito un percorso con una psicologa (invito chiunque a farlo) ed è lì che ho cominciato a scrivere. Ho iniziato a creare me, una mia identità, ad essere indipendente e vivere la vita in maniera più attiva.
Credo allora che il filo conduttore sia proprio questa voglia di cambiamento: la forza di aver preso in mano le mie paure e tristezze e trasformarle in qualcosa che potesse aiutare anche gli altri. Così oggi l’ascoltatore di Quel che resta del mare mosso può immedesimarsi tra le tracce.
E l’ordine dei brani è stato invece studiato?
Beh anche questo non è casuale, ma è forse legato ad un discorso più tecnico. Ho legato i brani semplicemente in base a come li sentivo terminare e ricominciare, ed alle varie dinamiche che si creavano.
Se devo essere sincero però, ci sono due canzoni che hanno una posizione ben precisa:
La vera immagine del cielo, canzone di apertura, è dedicata alla mia amica Veronika che purtroppo è venuta a mancare nel 2024. Il nome “Veronika” viene probabilmente da “Vera icona”, che a sua volta rimanda al velo della Veronica. Ecco il perché del titolo.
La canzone che chiude l’album, invece, è Riposare . Si tratta di un momento di tranquillità che vivo tutt’ora, dopo questo viaggio simbolico di 6 anni che viene ripreso anche nell’album. Ho voluto appositamente un brano strumentale per terminare questo percorso. A dirla tutta, il ritornello mi ricorda un treno in partenza: quasi a voler richiamare l’inizio di qualcosa di nuovo.
Mi piace questa visione di chiusura come incipit di qualcosa. Alla fine, è un po’ una metafora dei vari capitoli delle nostre esistenze. Quale dei brani a cui hai dato vita senti più tuo?
Domanda ardua. Penso che sia Lontana da te. Mi ritrovo molto nella protagonista della canzone. Rileggendo il testo si può trovare questo invito ad amare anche la parte più buia di sé stessi, nonostante le difficoltà che incontra una persona sensibile nel suo cammino.
Lo trovo un invito verso se stessi, un ritorno ad approcciare la vita in maniera più serena. Dovremmo tutti allentare le nostre tensioni interiori. Hai parlato prima di serenità, ma il tuo lavoro ha anche uno sfondo malinconico. Possiamo dire che questa sia la canzone più romantica del tuo disco? A proposito, in alcuni brani si nota una forte impronta cantautoriale e melodica che ricorreva nel panorama italiano dei primi anni 2000 (penso a Mario Venuti). Si percepiscono anche altre influenze più forti, ma voglio che sia tu a raccontarle. Chi sono i tuoi modelli di riferimento?
Lontana da te è uscita di getto, l’ho realizzata in poco tempo. Di sicuro è una canzone romantica, ma non nel senso stretto del termine. È una canzone che parla di una ragazza fittizia, che soffre della sindrome dell’impostore, non accettandosi per come è. Si trova in una continua ricerca di una identità che la possa riconciliare con il suo passato, presente e futuro. È un invito alla vita, a viverla anche nei suoi momenti più tristi e malinconici, perché anche quelli (soprattutto quelli) ti formano. Penso dunque che sia la canzone più completa del disco su molti fronti, dal testo alla musica ed alle emozioni che ti trasmette. La più romantica, nel senso diretto della parola, è invece Semi di chìa.
Per quanto riguarda le influenze, queste sono molteplici ed arrivano da diversi ambiti. Dalla scena italiana non posso non citare Fabrizio De André, per il quale nutro un amore profondo. E’ stato forse il primo cantautore che ho approfondito in maniera quasi maniacale. Mi è poi sempre piaciuto Battiato e solo successivamente mi sono avvicinato a De Gregori. Tra i più attuali poi citerei: Capossela, Fabi, Gazzè, Silvestri. Le altre influenze più marcate che si percepiscono risalgono agli anni ’70 (il cantautorale prog-rock, sia nei suoni che nella composizione): Banco del Mutuo Soccorso, PFM, Le Orme. Fuori i confini nazionali mi ispirano molto i Genesis, Gentle Giant, ELP.
In alcuni testi si percepisce molto il tuo lato scientifico, penso a “Semiliquidi”. In qualche modo questo background influisce nel tuo modo di comporre? Hai una visione più rigida e logica della musica, dettata dalla tua mente analitica, oppure no? Questa è una domanda difficile.
Penso di non riuscire a scrivere un testo che non abbia collegamenti alla matematica o alla fisica. Non esiste nessuna canzone del disco senza un tale richiamo, nemmeno tra quelle strumentali. Non accade solo in Semiliquidi. Se la vedi da questo punto di vista, il brano meglio collegato al mondo scientifico è Indelebile, in cui c’è una parte che fa:
Se potessi navigherei il vuoto acerbo dei tuoi occhi, cavalcherei onde spinte dalla gravità
E convergon le stelle in un punto indelebile, l’universo si tinge di forme confuse e si specchia nel vuoto degli occhi tuoi
Insomma, penso davvero che per me sia difficile scrivere senza avere l’influenza logico-matematica, anche se poi si tratta di temi che si intrecciano con la poesia ed un lato più onirico-umanistico.
Tornando alla musica, infine, non penso di possedere una visione così rigida. Tutte le canzoni del mio album sono state scritte di getto e con un sentimento, non pensando troppo alla logica-matematica: quella è insita in me.
Passiamo ora a quella che sicuramente si distingue dal resto delle canzoni, in quanto più orecchiabile dell’album: “Le cose a metà”. Raccontacela.
Le cose a metà nasce dalla lettura di Palomar di Italo Calvino, mio scrittore preferito (a proposito di riferimenti matematici!).
Calvino racconta di questo uomo che vuole stabilire un contatto con la natura, osservare la realtà in modo analitico, e cercare in essa una verità che tuttavia non arriva. Questa continua frustrazione nel voler “completare” lo sguardo sulle cose lo porta a lasciare a metà le azioni che inizia. Mi sono ritrovato molto nella sua figura all’interno del contesto sociale odierno. È uno dei miei libri preferiti e ne consiglio la lettura.
Inoltre, c’è un aneddoto carino sul titolo della canzone: in quel periodo, la mia migliore amica mi disse che quando leggeva un libro, se le piaceva, lo interrompeva volontariamente e non lo finiva, per non rovinarsi il piacere. Una strana e ambigua pratica che tutt’ora non riesco a concepire!
La mia canzone è un’invettiva nei confronti di coloro che trovano la strada facile, senza sforzarsi di conoscere se stessi e gli altri nella vita. Una critica verso questa società, così frenetica da non permetterci di soffermarsi sulle piccole cose attorno a noi. Come conseguenza, non abbiamo modo di costruire una personalità dal nostro interno, ma siamo portati ad emulare ciò che abbiamo attorno.
Bene! Arrivati a questo punto, vorrei permettermi di ringraziare anche chiunque ti abbia accompagnato nella produzione e nell’arrangiamento musicale del disco. Come sappiamo, un disco non si fa mai da soli..
Ovvio! Devo menzionare in primis gli artisti con cui ho collaborato e suono tutt’ora: Leonardo Angelucci, Daniele Coccia Paifelman, Roberto Billi, Il Battello Ebbro e Lateral Blast. Suonare con le persone che compongono queste band mi ha arricchito enormemente, dandomi la possibilità di pensare questo progetto solista.
Poi vorrei ringraziare i miei compagni di viaggio: Valerio Atturo, non solo chitarra elettrica, ma anche recording, mixing e master del disco; Alessandro Alvetreti, tastierista: è grazie a lui se abbiamo potuto provare e registrare l’album; Matteo Troiani, bassista e Mauro Cola, batterista. Inoltre, vorrei ringraziare Leonardo Angelucci, il mio Maestro d’infanzia Filippo Agostini e mia cugina @benio88 su Instagram, rispettivamente per il montaggio, la fornitura del materiale per il video e l’artwork di Lontana da te.
Ringrazio con il cuore Giulio Scipioni per le chitarre elettriche meravigliose su Semi di chìa , Riposare e Lontana da te; Simone D’Andrea per il basso messo su Chronofobia ; Emiliano Venanzini per i bassi messi su molti pezzi del disco; il mio amico Daniele Coccia Paifelman, (voce de “Il muro del canto”) per la voce prestata su Ballata per una solitaria preghiera ed Emanuele Galoni per l’interpretazione canora su Semi di chìa.
Cosa ti aspetti musicalmente da questo 2025? Hai già qualche evento a cui prenderai parte?
Questo 2025 sarà un anno di concerti e nuova scrittura. Sto prendendo delle date per le stagioni che verranno. Non voglio ancora fare spoiler, ma sicuramente saranno almeno 10 date.
Concludiamo con un sorriso: se dovessi descrivere la tua musica con una bevanda, quale sarebbe e perché?
Mmm.. una cioccolata calda alla cannella, perché è densa al punto giusto e ha quel sapore che ti mette il sorriso, almeno a me!
Grazie Antonello per esserti aperto con noi! Ti aspettiamo live!
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