Echoes in the dark #2: i Lycia ed il primo album “Ionia”

“Echoes in the dark” è la nuova rubrica per Brainstorming Magazine, completamente a tema dark wave, incentrata su dieci dischi che esprimono l’essenza di questo genere musicale. Ogni settimana analizzeremo atmosfere e significati nascosti dietro queste sonorità. Il secondo appuntamento è dedicato ad una band che incarna appieno la dark wave: stiamo parlando dei Lycia, con il loro album d’esordio Ionia.

I Lycia, tra evocazione e desolazione

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I Lycia sono forse una delle band più emblematiche del genere dark wave. Attivi sin dal 1988, grazie ad una idea del bassista Mike VanPortfleet, hanno pubblicato ben dodici album. Caratterizzati da un’impronta gotica, ma non nel senso vero del termine, quanto più pervasa da atmosfere cupe e tetre, il progetto mette in mostra le proprie influenze stilistiche già dal primo album.

Il nome “Lycia”, come ha raccontato lo stesso VanPortfleet, deriva dalla mitologia ellenistica. Era per lui forte la necessità di far risuonare il nome come qualcosa di evocativo. La regione omonima (che fu influenzata dai Greci) si trova nell’antica Anatolia, l’odierna Turchia meridionale. L’identità della band si sviluppa però soprattutto attorno a un altro paesaggio: quello desertico e polveroso dell’Arizona, dove il fondatore ha vissuto per diversi anni. Questo ambiente influenzerà profondamente il sound dei Lycia, che spicca proprio per la sua aridità e la distanza che trasmette.

L’album – Ionia (1990)

Il primo album della carriera discografica dei Lycia è Ionia. Viene pubblicato nel 1990, dopo un primo EP risalente all’anno precedente. In realtà l’album doveva inizialmente intitolarsi Byzantine, ma a causa di alcuni problemi tecnici non venne mai pubblicato. Di quel lavoro vennero tuttavia messi insieme i vari frammenti, col fine di dare vita al primo vero LP della band.

I suoni sono già un’anticipazione dell’impronta che avrà la band nel panorama musicale statunitense. Parliamo non soltanto di dark wave, ma più nello specifico di continui echi “eterei”, con venature industrial (che riprendono le sperimentazioni dell’ EP d’esordio Wake).

Voci sussurrate, lontane, fluttuanti, sonorità stratificate. Al contrario dei Drab Majesty (di cui abbiamo parlato nella precedente puntata, qui il link all’articolo), i Lycia sembrano voler rendere meno “sognante” il tema del gelo. Anzi, se con i Drab Majesty i brani assumono un tono freddo ma al contempo più robotico/futuristico, qui il tutto sembra spostarsi oltre: la sensazione è quella di un freddo “vuoto”, un mondo che si è in realtà spento. Non c’è alcuno scenario urbano, nessuna luce notturna. Non c’è nulla: i Lycia suonano come qualcosa di prettamente arido, un paesaggio svuotato da qualsiasi forma di vita, come quello di uno scenario alieno o post-apocalittico.

I brani dell’album si susseguono uno dopo l’altro con suoni opprimenti, ma possiamo rintracciare in essi anche texture derivanti dal post-punk oppure ambientali. Meritano attenzione: November (scelta non casuale, probabilmente è il mese più adatto per l’ascolto dei Lycia se volete immergervi profondamente nelle loro sonorità); Fate (dal ritmo solenne tipico di un requiem, tra l’altro brano completamente strumentale); c’è poi Monsoon – divisa in due parti- che richiama l’evento atmosferico tipico del deserto, considerato da VanPortfleet molto importante in quanto simbolo di rinascita, rigenerazione.

Il brano scelto: Desert

Abbiamo già detto che i Lycia si sono ispirati spesso all’ambiente circostante per il background delle loro canzoni, sia per quanto riguarda il sound che le atmosfere evocative di Ionia.

Desert è la quinta traccia dell’album ed incarna perfettamente la sua estetica eterea e introspettiva. Il deserto qui non è solo un luogo fisico, ma una dimensione esistenziale, una terra di purificazione e oblio, dove il protagonista cerca di svuotarsi dal peso delle emozioni e della percezione totale del mondo. Ed ecco questo brano che emerge pian piano con una melodia quasi attraente, dolciastra. Una voce tentatrice si propone come ricerca di espiazione.

Il brano si apre con le parole: I reflect everything, I perceive it all” “I need to go back to the desert, so I can feel new again. È una condizione quasi sovraumana, una sensibilità amplificata che rende il sentire insopportabile. Da qui nasce il bisogno di fuga, un ritorno al deserto, che nella mitologia della solitudine diventa simbolo di rigenerazione e annullamento. Questo viene esplicitato nel passaggio seguente:

And then I climb from this world/ And head straight out to the desert/ And stand under her brilliant blue / I am cleansed, cleansed by the desert

Tuttavia, a metà brano la melodia si incrina improvvisamente, diventando un fardello pesante da dover trascinare fino a fine del brano. Il deserto subisce una trasformazione da rifugio a prigione: l’isolamento, che inizialmente porta sollievo, si fa soffocante. Then isolation builds, and I want to escape from this desert/ Then desolation burns, and I just want to sin again.

La purezza è insostenibile, la negazione del desiderio si ribalta nella voglia di ricadere nell’umano, nel peccato, nell’errore. È una dicotomia che si ripete, come un ciclo infinito tra ricerca di elevazione e riscoperta della propria fragilità.

L’elenco di sentimenti e concetti nella chiusura del testo (odio, amore, speranza, avidità) è infine un tentativo di mappare l’essenza dell’esperienza umana. È il caos emotivo che il protagonista cerca di lasciarsi alle spalle, ma che inevitabilmente lo riassorbe, dissolvendosi nel nulla con quell’ultimo Fades awayche conclude il brano.

Per concludere

I Lycia con il loro primo album Ionia ci invitano anche ad una riflessione filosofica e più consapevole: a volte è necessario confrontarsi anche con delle atmosfere più “stanche” ed “oniriche” che rimandano al tema della morte ed alla dissoluzione. Deserto, desolazione, nichilismo: non si può far finta che non esistano. Fare propri questi temi ed esplicitarli sotto forma artistica può essere non solo un gesto di liberazione per l’artista, ma anche uno strumento di consapevolezza per l’ascoltatore. Non è solo malinconia: i Lycia guardano il buio ma senza paura, e ci trovano una sua estetica e una sua verità. E forse, in questi paesaggi desertici ci si trova anche una forma di catarsi.

 

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